«Per Evgeny Morozov Wall Street e la Silicon Valley sono solo due facce della stessa medaglia: le grandi piattaforme digitali come Amazon, Google e Facebook, o i giganti della sharing economy come Airbnb e Uber, in realtà sono animati dagli stessi istinti predatori della finanza, e – monopolizzando i dati personali – si appropriano dello spazio pubblico. E tutto ciò accade mentre l’illusione di poter fruire di servizi personalizzati in realtà uccide la solidarietà».
Se pensate che quel che accade nella Silicon Valley riguardi solo la tecnologia o l’economia, preparatevi a ribaltare tutte le vostre certezze. «Perché il digitale è politica, e che siate a favore o contrari, in fondo importa poco: perché in entrambi i casi, semplicemente accettando il quadro concettuale che il pensiero unico dei signori di Internet impone, state facendo il gioco “degli aspetti peggiori dell’ideologia neoliberista”». Così su La Stampa il condirettore Massimo Russo introduce il nuovo libro di Evgeny Morozov, Silicon Valley: i signori del silicio (VAI ALLA SCHEDA DEL LIBRO), in uscita a gennaio 2016 per Codice Edizioni nella traduzione di Fabio Chiusi: un atto d’accusa contro i colossi hi-tech e il loro “diabolico” potere politico-economico.
Morozov, 32anni, sociologo bielorusso ed esperto di nuovi media, è noto per le sue posizioni critiche rispetto al «cyberottimismo» che caratterizza il dibattito sulle potenzialità democratizzanti e antitotalitarie di Internet. Con Codice Edizioni ha pubblicato anche L’ingenuità della rete (2011) e Contro Steve Jobs (2012). Scrive nello stralcio, anticipato da La Stampa, dal capitolo “Perché odiare la Silicon Valley”:
«La Silicon Valley tiene strette in pugno le fila del dibattito pubblico, e finché la nostra critica rimarrà limitata al piano della tecnologia e dell’informazione – descritto da una parola tremenda, tanto insignificante quanto abusata: digitale – la Silicon Valley continuerà a incarnare la rappresentazione di un settore eccezionale, unico. […] Anche se non ce ne rendiamo conto, la natura in apparenza eccezionale degli oggetti in questione è codificata nel nostro stesso linguaggio, che si parli di informazione, reti o Internet, e questa eccezionalità nascosta consente a quelli della Silicon Valley di ridurre i critici a dei luddisti che, opponendosi alla tecnologia, all’informazione e a Internet – l’uso del plurale non è contemplato, rischierebbe di sopraffare i loro cervelli – avrebbero come unico obiettivo quello di opporsi al progresso».
Una questione tutt’altro che secondaria per il futuro della società moderna, come ribadisce Juan Carlos De Martin, fondatore del Centro Nexa, nel suo editoriale:
«Parlare di potere in Internet, invece, significa interrogarsi sulla distribuzione del potere nella rete: chi detiene il potere digitale? Forse chi possiede i cavi su cui viaggiano i bit o chi progetta e vende gli smartphone? Chi produce software o chi gestisce le grandi piattaforme come Facebook e YouTube? Domande complesse, anche perché la situazione è – a causa del susseguirsi delle decisioni aziendali, politiche e giuridiche – in costante cambiamento. È proprio per influenzare la distribuzione del potere in Internet che, per esempio, alcune aziende combattono battaglie legali miliardarie (come quelle tra Apple e Samsung); che un numero crescente di governi si interroga sull’opportunità di controllare dove fisicamente passano e vengono immagazzinati i bit; che alcuni parlamenti legiferano su temi apparentemente tecnici come la neutralità della rete e delle piattaforme. Per non parlare del potere giudiziario, che soprattutto in Europa sta intervenendo sempre più spesso su questi temi».