Piccolo chimico atomico

Paura del Piccolo chimico? Allora dovreste provare la radioattività

Vi regaliamo un estratto da La scienza dal giocattolaio di Davide Coero Borga, dal capitolo dedicato al Piccolo chimico.

 

«Una scatola di legno. Portaprovette. Conseguente stock di provette in vetro con tappo. Beaker graduato. Piastra per analisi. Fornelletto ad alcol. Occhiali protettivi. Spatole. Pipette per prelievi. Spazzolino per provette. Bicchieri per elettrolisi. Kit di sali. Imbuto. Pinzette. Nastro di magnesio.

E una sola domanda: quanti cucchiaini del servizio buono avete corroso irrimediabilmente durante i vostri esperimenti da pionieri scienziati? Ebbene sì, c’è stato un tempo in cui drudi e alchimisti hanno smesso di improvvisare con alambicchi, distillatori, fuochi fatui, e sono diventati giovani sperimentatori nel grande laboratorio della scienza. Quegli anni di lumi e grandi trasformazioni hanno portato sul mercato, dopo neanche tre secoli di rivoluzione scientifica, un giocattolo, se così lo si può chiamare, a dir poco affascinante: il kit del Piccolo chimico. Rivoluzione ludica, il Piccolo chimico ha trasformato la natura silente e la complicata chimica in un teatro di divertenti esperimenti, motore della curiosità bambina. La chimica, che ancora oggi conserva un rapporto difficile con studenti e grande pubblico, laddove persino astronomia e matematica hanno saputo diventare pop, era riuscita, allora, a trovare una breccia grazie al gioco. Cos’è rimasto di quell’avventura da piccoli chimici?

 

Piccolo chimico

 

IL GIOCATTOLO PIÙ RITIRATO DAL MERCATO
Ai bambini degli anni Sessanta era lasciata piena libertà di produrre associazioni ed esperimenti in totale libertà, alla scoperta del potere degli elementi della tavola periodica. Si giocava con storte, matracci, fornelletti a spirito per bollire i composti e dozzine di elementi chimici. Vere provette, scaldabili su fiamma, e una sfilza di reagenti fra cui troviamo anche molti di quelli che oggi sono considerati pericolosi – da apprendisti terroristi – come il permanganato. Sostanze mai pure, a dire il vero, ma comunque buone per farci un po’ di tutto: un innocuo grumo di zinco, i principali sali, un pizzico di acido tartarico, tutto ordinato in piccoli contenitori di plastica (etichetta bene in vista: non ingerire nessun prodotto). Si poteva sciogliere lo zinco in una soluzione di bisolfato di sodio, o decolorare il permanganato, sentendosi provetti ricercatori. Negli anni la tossicità degli elementi presenti nella confezione e alcune sostanze infiammabili hanno costretto i produttori a un continuo rimbalzo tra boom commerciali e massicci ritiri dal mercato di un prodotto considerato arma pericolosa in mano a giovani clienti inesperti. Certo, i bambini alle prese col Piccolo chimico andavano assistiti, ma non era mica richiesta una laurea in chimica industriale. Le istruzioni dei libricini allegati erano solitamente molto chiare e, se non altro, insegnavano ai bambini che non potevano mettersi in bocca qualsiasi cosa passasse loro fra le mani.

Le regole nel gioco hanno la loro importanza. Tanto più in chimica, regina delle discipline nel dopoguerra atomico, scalzata solo da astronomia e fisica durante la corsa allo spazio. Si dice che lo stesso Richard Feynmann (premio Nobel per la fisica) abbia iniziato col Piccolo chimico. Quindi: si impara giocando, evviva! E oggi? Le scatole dal potenziale distruttivo sono state definitivamente ritirate dal mercato. I moderni laboratori di chimica sono giocattoli all’acqua di rose. Niente fornelli ad alcol o sostanze pericolose: le provette sono rigorosamente in plastica e gli esperimenti si fanno con limone, aceto e bicarbonato. Col rimpianto dei nostalgici di quegli anni che, in rete e sui blog, si fanno beffe delle nuove versioni del Piccolo chimico. Ma la scienza strong non è scomparsa, e risorge nei videogame. Nintendo DS e Wii hanno lanciato da poco sul mercato Science Papa, una piattaforma laboratorio virtuale dove è possibile ricreare esperimenti con attrezzature da professionisti. Nessun limite alla fantasia, col vantaggio di evitare le controindicazioni della dura realtà: piccole esplosioni casalinghe, pentolini bruciati e servizi della nonna rovinati.

 

IL PICCOLO ATOMICO
Paura del Piccolo chimico? Allora dovreste provare la radioattività!
Può sembrare incredibile che la chimica abbia sviluppato tutto il suo appeal proprio in concomitanza degli orrori nucleari che hanno segnato la seconda guerra mondiale. Ma tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta c’è chi, preda dell’entusiasmo atomico, ha messo in commercio un modello deluxe del Piccolo chimico, tutto declinato al nucleare. La casa di giocattoli Gilbert Company, per fare un esempio, lanciò sul mercato l’Atomic Energy Lab, un kit per piccoli Fermi che conteneva campioni di piombo 210 (radiazioni alfa e beta), rutenio 106 (beta), zinco 65 (gamma) e polonio 210 (alfa), oltre a una serie di provette riempite di polvere d’uranio e altri ammennicoli. Insomma: tutti i tipi di radiazione dentro un’innocua confezione per bambini.

 

Piccolo chimico atomico

Tra gli accessori del kit radioattivo, uno in particolare ebbe un successo strepitoso, al punto da essere venduto in quegli anni, anche separatamente, in migliaia e migliaia di esemplari: lo spintariscopio. Si trattava di un rivelatore a scintillazione, un oculare in tutto e per tutto simile a quello di un normale microscopio, che montava una lente al solfuro di zinco. Era sufficiente una piccola quantità di uranio o di radio perché sulla lente, trasformata in un rudimentale schermo fluorescente, si riproducesse lo spettacolo di tante strisce luminose e lampi di luce, provocati dal decadimento degli elementi radioattivi. Camere a nebbia, elettroscopi e altri strumenti fondamentali per l’iniziazione chimica non mancavano mai in questi laboratori giocattolo, come d’altro canto il marchio Educator Approved. Costo della confezione: cinquanta dollari. Oggi è un giocattolo da collezione così ricercato che un set completo può essere venduto a più di cento volte il prezzo originale. Non meno diffusi erano i contatori Geiger in versione giocattolo. La confezione recitava così: «Sviluppato presso la Gilbert Hall of Science con eminenti scienziati nucleari del New Haven Connecticut. Gli scatti del contatore, che potete auscultare nell’apposito auricolare, accelerano in prossimità del materiale radioattivo. Un indicatore al neon posizionato in cima la contatore Geiger indica la radioattività con un flash».
Come accessorio al kit un paio di baker contenenti carnotite, un minerale radioattivo, e cugini atomici sul genere. Giocattoli per bambini benestanti, a giudicare dal prezzo non proprio popolare, ma in linea con lo spirito del tempo. Quanti frammenti di uranio radioattivo sono stati maneggiati, dai bambini di allora, con disinvoltura di fronte a ignari (e divertiti) genitori? Il Novecento si era aperto con due grandi scoperte, elettricità e magnetismo, spettacolarizzate in privato davanti a regnanti e uomini di Stato, o in pubblico durante eventi e fiere internazionali. La scienza era fatta di fenomeni noti, utili, e che non avevano mai ammazzato nessuno. Perché doveva essere diverso per la radioattività? A nessuno passava per l’anticamera del cervello che potesse essere pericolosa, finché gli scienziati che la studiavano da vicino non cominciarono a morirne. E anche allora non fu chiara fin da subito la correlazione fra i due eventi. Cosa dire poi del modellino in scala della centrale nucleare di Three Mile Island? «Aggiunge realismo e turbamento al gioco» annunciava (e a ragione, col senno di poi…) lo strillo sulla confezione. Certo la casa produttrice (la Con-Cor di Bensenville, Illinois) non poteva immaginare che neanche vent’anni più tardi la centrale sarebbe stata teatro del più grave incidente nucleare mai avvenuto negli Stati Uniti, una parziale fusione del nocciolo con conseguente rilascio di gas e iodio radioattivi nella contea di Dauphin, Pennsylvania. Era il 28 marzo 1979.

La serie di balocchi atomici è lunga, e i libretti d’istruzioni che accompagnano le confezioni sono vere e proprie introduzioni alla chimica del radio. Altri lasciano di stucco per la visione capitalistica del mercato atomico. Sulla confezione di Uranium Rush si legge: «Un nuovo ed entusiasmante gioco per la famiglia. Fai un milione di dollari! Segui le luci e i ronzii del tuo contatore Geiger». I giocatori devono perlustrare il sottosuolo statunitense muniti di contatore Geiger, cercare siti ricchi di uranio per poter ricevere sovvenzioni pubbliche e fare un mucchio di soldi. In pieno stile Klondike».

 

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