Gli autori Codice al Salone del libro di Torino
Vi aspettiamo al Salone del libro di Torino (18-22 maggio) allo stand V74 e agli incontri con i nostri autori Andrea Fantini e Giacomo Destro.
Abbiamo intervistato Davide Coero Borga, autore di La scienza dal giocattolaio.
Cliccando qui potete leggere la scheda libro (acquistabile su IBS e Amazon), e di seguito trovate un estratto e le nostre domande : buona lettura!
«Il record di permanenza in orbita per un astronauta è di quattrocentosessantasette giorni, ed è detenuto da un giocattolo per bambini. Anche se non è un cosmonauta in carne ossa, ha trascorso un anno e mezzo sulla Stazione Spaziale Internazionale per poi rientrare a terra come un normale membro dell’equipaggio dello Space Shuttle Discovery. Si tratta di Buzz Lightyear, space ranger pupazzo e protagonista (insieme a Woody, il cowboy giocattolo) del film di animazione Toy Story. Buzz – proprio come Buzz Aldrin, membro dell’Apollo 11 e secondo uomo ad aver messo piede sulla Luna – è un astronauta; su questo ci sono ben pochi dubbi. Un astronauta giocattolo, fatto di plastica e alto una trentina di centimetri. Indossa una tuta bianca, verde e viola. Grazie a quattro tasti in rilievo sul petto è in grado di parlare e di spalancare possenti ali. Diversamente da molti altri giocattoli Buzz Lightyear può vantare una sfilza di accessori hi-tech: casco con apertura a scatto, un LED che simula un raggio laser, ali a comparsa, mosse automatiche di karate. E, ciliegina sulla torta, è in vendita in una confezione che raffigura un’astronave. La Nasa, l’agenzia spaziale statunitense, lo ha spedito nello spazio nel giugno del 2008. Fino al settembre del 2009 ha volato a gravità zero sull’orbita terrestre come astronauta di stanza sulla Stazione Spaziale Internazionale, la piattaforma orbitante gestita come progetto congiunto dalle agenzie spaziali di cinque diversi paesi (Canada, Russia, Europa, Stati Uniti e Giappone), un vero e proprio laboratorio che sta conducendo esperimenti di medicina, fisica e biologia. E così veniamo al punto. Che cosa ci faceva un pupazzo di plastica a bordo di quel grandioso e innovativo esperimento scientifico che è la Stazione Spaziale Internazionale? La presenza di Buzz rientrava nell’ambito di un programma didattico che ha visto la collaborazione fra la Nasa e la Disney; l’obiettivo, attraverso una serie di filmati didattici, era quello di avvicinare bambini e ragazzi alle professioni tecnico-scientifiche, sfruttando la presa e il fascino che l’astronauta della Pixar ha sul pubblico più giovane (e non sol). Non è un caso, forse, che alla voce Buzz Lightyear su Wikipedia, l’episodio della sua permanenza sulla SSI sia intitolato Impatto culturale. Da questo punto di vista Buzz Lightyear rappresenta davvero un testimonial d’eccezione, un ponte naturale tra dimensione ludica e scienza. Un giocattolo universalmente riconosciuto come scienziato, e comunque un’ottima ragione “vivente” per leggere questo libro».
Dalla tua biografia leggiamo che progetti e realizzi giochi di scienza. Quale tra i giochi presenti nel tuo libro avresti voluto “inventare” tu? E perché?
Credo che inventare un giocattolo sia qualcosa di difficilissimo. Nel mio lavoro mi piace prendere una modalità di gioco conosciuta, riconoscerne i potenziali narrativi e utilizzarli per raccontare alla gente una storia, comunicare un contenuto di scienza. Forse per questo risponderei alla domanda dicendo: i mattoncini Lego. Ricordo che quando ero bambino ci impazzivo. Tenevo esposti i modellini della linea Technic sulle mensole, come macchinari di un’Esposizione Universale. La mattina di Natale scuotevo i pacchetti ai piedi del letto per riconoscerne il frusciare dei pezzi sotto la carta regalo, e perlustravo i pochi metri quadri della camera per cercare altre eventuali sorprese insperate da costruire a tavola con i nonni, poco entusiasti all’idea di trovarsi qualche mattoncino nel piatto, zuppo del sugo degli agnolotti. Il mondo Lego mi ha sempre affascinato per la modularità del giocattolo. Costruire e ricostruire qualcosa seguendo un progetto. Afferrarne i principi costruttivi. Dimenticare i progetti. E inventare con criterio. Quelle confezioni di mattoncini erano uno strumento potente: avevano spartiti fitti e rigorosi, ti insegnavano a eseguire un pezzo, per poi lasciarti improvvisare con quello che avevi a disposizione. Giocattoli jazz, per gli inventori di domani.
Le ricerca scientifica, soprattutto quella d’avanguardia, oggi come ieri, ricorda a volte quella “sperimentazione senza limiti” del bambino che gioca. Ti è capitato di incontrare nel tuo lavoro scienziati (di ieri o di oggi) per cui l’aspetto ludico era qualcosa di molto importante?
Moltissimi: dai biotecnologi agli esperti di robotica, dai fisici dell’aerospazio a quelli che vivono dentro un acceleratore di particelle. Sono tutte persone che si divertono come matte. Bruciano della stessa passione che accende un bambino davanti al suo giocattolo preferito. Parlano con i loro esperimenti come noi discutevamo con i nostri robot o le nostre bambole. Ne curano i dettagli. Ci litigano. Si emozionano. Ma sia non è gente da ricovero coatto! Sono uomini e donne con il dono della curiosità. E quel loro desiderio di conoscere cambia quotidianamente il mondo in cui viviamo. La ricerca pura – tanto per fare un esempio – che se vogliamo è il gioco di sperimentazione per antonomasia senza scopi, è nei fatti il più potente motore dell’innovazione oggi. La PET, i nuovi macchinari per la cura del cancro, lo stesso World Wide Web sono nati al CERN di Ginevra. I pannelli fotovoltaici, il sistema GPS, i microchip, i surgelati, le lenti infrangibili per gli occhiali, i materiali e i tessuti HiTech, sono alcune delle centinaia di ricadute della ricerca spaziale. Un mondo di ricercatori che gioca sul serio.
Conoscere le equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo ci aiuterà davvero a vincere alla pista Polistil? In alternativa: Conoscere l’effetto Bernoulli in fisica ci aiuterà a lanciare meglio un frisbee?
Le equazioni di Maxwell fanno sempre comodo: con un po’ di manualità si può modificare il motorino elettrico di una slot car sostituendo la bobina di rame con un filo più spesso. Si fa qualche giro in meno e se siamo fortunati dovrebbe correre come il vento senza grippare in un paio di giri. In generale, mi sento di dire che conoscere meglio la scienza che si nasconde dietro un giocattolo, come pure la tecnologia che pervade il nostro quotidiano e le nostre esistenze ci aiuta a muoverci in modo intelligente in un ambiente sempre diverso. La voglia di capirci di più ci rende inoltre cittadini consapevoli di fronte a importanti decisioni che siamo chiamati a giudicare come società civile. Quanto a Daniel Bernoulli: no, non serve a un tubo per giocare a frisbee. Però è una bella storia no? Una teglia per torte che diventa un giocattolo superfamoso!
Se potessi intervistare te stesso, che cosa ti chiederesti?
Mi chiederei: ma tu come fai a sapere tutte queste cose sulla scienza dei giocattoli? E mi risponderei: infatti non le sapevo. Alcune le ho intuite, annusate, inseguite e indovinate. Altre me le sono fatte spiegare. Ho chiesto una mano ad amici, ricercatori e perfetti sconosciuti. Scrivere è diventata una buona scusa per giocare. Con la scienza e con i giocattoli (è importante avere una buona scusa per tornare a giocare!). Spero che il libro possa essere lo stesso per i lettori: un gioco, un divertimento, una scusa per tornare bambini, o diventare scienziati.