«Mettiamola così: siete andati a vedere un western. Vi hanno detto che è un film talmente pazzesco che vi sembrerà di correre davvero a cavallo in Arizona. In effetti è così. Gli scenari sono mozzafiato, il regista muove la macchina da presa nelle tre dimensioni facendo sfoggio di bravura come un chitarrista progressive. Non avete mai indossato stivali e speroni, ma adesso è come se. Certo, la storia è un po’ esile, un uomo e una donna si sono persi nel deserto e devono cercare di riportare a casa la pelle, ma la tensione c’è, vediamo come va.
Poi iniziano a succedere cose strane. Tipo: c’è un’esplosione, e i due hanno il tempo di vedere le schegge che volano verso di loro come uno sciame d’api. Oppure: i due balzano dai piedi di una montagna fino alla cima. Corrono dietro a un treno in corsa, lo raggiungono e ci saltano sopra. Il cavallo ferma un altro treno soffiandoci sopra. Ma il massimo capita in una scena importante, determinante per la trama: uno dei due viene inspiegabilmente risucchiato verso l’alto da una forza misteriosa.
Se succedessero cose del genere, in un western, vi chiedereste perché hanno tutti parlato così bene di questo film. Come minimo, la vostra esperienza di spettatore sarebbe disturbata da un gigantesco punto interrogativo che inizierebbe a ballonzolare davanti allo schermo guastandovi la visuale. Bene, questo è come mi sono sentito io guardando Gravity. E sì che a me in generale non piace la pedanteria nerd di chi fa le pulci ai dettagli scientifici in un film: ci si può divertire, o farsi coinvolgere dal dramma, senza fare troppo attenzione a piccole licenze. È pur vero che, se decidi di fare un film che attirerà al cinema i nerd come una calamita attira la limatura di ferro, hai qualche problema di verosimiglianza in più. Ora, Gravity è un film che non si discute sul piano cinematografico: lascia a bocca aperta. Ma sul piano emotivo mi ha coinvolto solo superficialmente, e le licenze che si prende non sono piccole. Resta la tensione, che però ha lo spiacevole inconveniente di finire con i titoli di coda.
Certo, capisco che nessuno di noi si è mai trovato in orbita attorno alla Terra, quindi la situazione fisica non è esattamente familiare e le incongruenze non sembrano così evidenti. E allora, siccome non voglio restare solo nel mio dolore, vi do qualche elemento per giudicare, senza spoiler, poi decidete voi.
1. Lo vedete quel grosso pianeta sotto di voi? Si chiama Terra, vi attira verso di sé con una cosa chiamata gravità (esatto, quella del titolo). Non potete farci nulla, se non caderci. Al massimo, potete rimandare l’inevitabile prolungando la caduta, ovvero mettendovi in orbita. Sempre caduta è, ma lungo una traiettoria più furba di quella che vi porta dritti a spatasciarvi contro l’atmosfera.
2. Se vi sembra di essere senza peso, non è perché la gravità non ci sia, ma perché, appunto, state cadendo. Lo spazio non c’entra. Si può ottenere lo stesso effetto, anche se per periodi di pochi minuti, cadendo con un aereo a quote molto più basse (cosa che viene fatta davvero, per addestrare gli astronauti).
3. Quindi, non avete scelta. Dovete cadere. O cadete orbitando, o cadete nella maniera tradizionale. Se cadete dritti verso l’atmosfera, tenderei a evitare di affidarmi alla fortuna per trovare l’angolo giusto d’impatto. Non so se mi sono spiegato: se sbagliate, anche di pochissimo, la navicella non trova l’assetto da sola. È come prendere un muro.
4. Se invece volete restare in orbita, vi dovete muovere a una certa velocità. Non siete voi a decidere quale: la velocità dipende dalla quota. Ergo, quota diversa, velocità diversa. Quota dell’Hubble Space Telescope: 559 km. Quota della ISS: tra 330 e 430 km. Quota della Tiangong, tra 352 e 360 km. (Non sono dati coperti dal segreto, si trovano su Wikipedia). Non solo sono molto lontane tra loro, ma viaggiano in direzioni diverse e dovete colmare differenze di velocità di diverse centinaia di chilometri all’ora tra l’una e l’altra. Buona fortuna.
5. I detriti spaziali viaggiano rispetto a voi a velocità di decine di migliaia di chilometri all’ora. È per questo che fanno male. Dubito abbiate il tempo di vederli arrivare.
6. Ora la cosa grossa. Ma gigantesca, proprio. Da quel momento in poi non riuscirete a pensare ad altro per il resto del film. Eccola. Se siete legati con un cavo a un’altra persona, la differenza di velocità tra voi e l’altra persona è 0. Zero, come Renatone. Capito? Siete immobili uno rispetto all’altra. Se sganciate il cavo, restate dove siete. A meno che non siate così stupidi da darvi una spinta».
Amedeo Balbi, Il Post (per continuare a leggere fino al punto 10, clicca QUI).
Amedeo Balbi è autore per noi di Il buio oltre le stelle. L’esplorazione dei lati oscuri dell’universo e di Cosmicomic. Gli uomini che scoprirono il Big Bang, presto in uscita.
«Tutta la storia dell’astronomia, in fondo, altro non è che una lunga lotta dell’uomo contro l’oscurità».