Sulle pagine del Quotidiano del Sud Francescapaola Iannaccone dedica un lungo articolo alla “dittatura della felicità”, tema trattato da Edgar Cabanas ed Eva Illouz in Happycracy. Psicologia positiva e mindfulness promettono, con slogan e aforismi, «la costruzione di un benessere semplicemente mettendo in pratica quello che si legge. Frasi a effetto che esortano a essere ottimisti, a rafforzare i lati positivi della propria vita, incitano a un modo di vivere e operare nel quale gentilezza, gratitudine, resilienza, accettazione e senso e senso dell’umorismo devono essere i capisaldi dell’interiorità. Come se ci si dovesse trasformare in tanti piccoli “Pollyanna”».
Ovvio che quest’imposizione della felicità come unica bussola dell’esistenza generi una fiorente industria di corsi, guru, sedicenti esperti pronti a guidarci verso il benessere (che, attenzione, è sempre personale: quello collettivo non è mai contemplato), con conseguenze deleterie analizzate in Happycracy. Per Cabanas e Illouz, infatti, la psicologia positiva ha creato «un concetto errato nella società neoliberista perché cataloga in maniera spiccia come “positive” anche le senzazioni di rabbia e fallimento, quasi bastasse riprogrammarle linguisticamente per renderle funzionali all’acquisizione della felicità»·
C’è poi anche un lato più preoccupante di questa ossessione della felicità: che succede se le aziende la sfruttano per pretendere di più dai lavoratori senza dover dare salari adeguati allo sforzo richiesto? Questo l’argomento del breve estratto di Happycracy al fondo dell’articolo di Francescapaola Iannaccone.