«Nel mito fondativo di Internet c’è stato il culto dell’anonimato. Via via venuto meno quando Facebook ha fornito le credenziali per accedere a una quantità sempre crescente di siti e servizi. Una volta che il navigatore ha avuto un nome e un cognome è stato possibile valutare la sua reputazione. E la reputazione, quantificata attraverso il ranking, ha sostituito i suoi diritti».
Su “la Repubblica” Riccardo Staglianò intervista Evgeny Morozov, autore insieme a Francesca Bria di Ripensare la smart city.
L’aggettivo “smart” è la quintessenza dell’era digitale in cui viviamo, che ha promesso così tanto ma mantenuto così poco. Tutto sembra essere “intelligente”, dagli spazzolini da denti fino alle città, quelle smart cities che nell’ultimo decennio hanno conquistato l’immaginario collettivo e plasmato il lavoro di urbanisti, funzionari, politici e interi settori industriali. Sono però molte anche le critiche: lo scollegamento con i problemi reali della gente, la ricerca tecnocratica del dominio sulla nostra vita urbana, l’ossessione per la sorveglianza e il controllo, l’incapacità di pensare a strategie che mettano i cittadini – non le aziende o gli urbanisti – al centro del processo di sviluppo. Questo saggio analizza alcune delle critiche alle smart cities, e studia le connessioni tra le infrastrutture digitali che hanno riplasmato il paesaggio tecnologico delle città e i programmi politici ed economici che queste hanno intrapreso
o potrebbero intraprendere
a breve.