Sul Giornale di Vicenza Filippo Lovato recensice Happycracy di Edgar Cabanas ed Eva Illouz.
«L’obbligo della felicità sembra aver trovato nei social media un nuovo mezzo per diffondersi», scrivono i due autori nel loro saggio che analizza le insidie della cosiddetta psicologia positiva, che sostiene che «la felicità non è una combinazione, personale e spesso transitoria, di circostanze interne ed esterne, è una condizione che si può misurare, attraverso questionari e indagini psicologiche».
Sempre secondo questa disciplina, la felicità dipende esclusivamente dal soggetto, che deve nutrire la sua mente di «emozioni positive». Ed ecco allora che la felicità può essere insegnata con libri, app, sedute di sedicenti guru, e che si riduce a un atteggiamento nei confronti di un contesto dato.
Le insidie di questo ragionamento sono molteplici, e Cabanas e Illouz lo illustrano bene in Happycracy: possono rendere più esose le richieste dei datori di lavoro, che si preoccupano di creare sì un migliore ambiente di lavoro per esigere dai dipendenti più impegno senza un corrispettivo economico per gli ulteriori sforzi; e possono sollevare la politica dall’occuparsi della giustizia sociale.
«Il volume di Cabanas e Illouz smonta tante certezze sugli effetti della positività, rivela la natura ideologica e conservatrice di tale approccio, e tenta di riassegnare al conteesto il ruolo che merita.»