Alberto Ferrigolo su Agi.it scrive che «come singoli, collettività e socialmente siamo vittime dell’Happycracy. Una sorta di “dittatura della felicità”, dell’esser contenti a tutti i costi».
Proprio dell’imposizione della felicità e della sua trasfomazione in responsabilità individuale parla Happycracy di Edgar Cabanas ed Eva Illouz: «La ricerca della felicità è insaziabile e implica un grave paradosso: la felicità, la cui vocazione sarebbe di realizzare un’identità sviluppata e una vita soddisfacente, è costretta a generare un racconto di mancanza che colloca gli individui in una posizione in cui qualcosa è sempre mancante: se non altro perché una felicità assoluta, o uno sviluppo personale completo, resteranno irraggiungibili».
Una continua ricerca della felicità, quindi, che può portare a un eccessivo ripiegamento in se stessi. La soluzione?«Forse bisognerebbe essere meno ebbri di felicità. Sarebbe meglio per tutti. Anche socialmente. […] “La rabbia può portare a scelte distruttive, infliggere umiliazioni, ma permette di sfidare l’autorità e di rafforzare i legami interpersonali davanti a ingiustizie o minacce condivise”».