Su AI4Business, Marco Martonara e Roberta Savella parlano delle ultime frontiere nell’addestramento… delle chatbox. In un lungo articolo che spazia dalla filosofia del linguaggio ai richiami alla serie Black Mirror sino alle implicazioni giuridiche della scia che lasciamo online (e che può venire usata per programmare bot per truffe), Martorana e Savella citano esperimenti come quello di «Eugenia Kuyda, co-fondatrice di Luka, una startup di intelligenza artificiale, alla programmazione di una chatbot utilizzando i messaggi scambiati con Roman Mazurenko, morto in un incidente, per erigere una sorta di “monumento digitale” all’amico e permettere alle persone che lo conoscevano di continuare a conversare con una sua replica fedelissima».
«Il primo passo per “addestrare” un bot a parlare con delle persone è fare in modo che il programma sia in grado di comprenderle e rispondere loro utilizzando lo stesso linguaggio. Il “Natural Language Processing” (NLP) è la disciplina che si occupa di trattare in modo informatico il linguaggio naturale, che per dei computer è particolarmente complesso perché contiene anche sottintesi e ambiguità; spesso, infatti, per sbugiardare le chatbot più semplici basta usare il sarcasmo.»
«Viola Bachini e Maurizio Tesconi, nel loro libro Fake people, spiegano come oggi i programmatori combinino spesso due strade diverse per insegnare a una macchina a parlare: da un lato forniscono all’algoritmo una serie di regole linguistiche (metodo più tradizionale); dall’altro, allo stesso tempo, utilizzano tecniche di machine learning, dando “in pasto” all’algoritmo una quantità enorme di esempi in modo che impari da solo a rispondere agli stimoli. Grazie alla capacità computazionale dei computer di oggi è diventato possibile utilizzare sistemi di reti neurali per creare connessioni molto profonde – il deep learning.»