Monito del monte

La storia dei pidocchi è la storia dell’Uomo – Intervista a Lisa Signorile

 

«Che cosa si impara da questo libro? Per prima cosa, ci si diverte. Il bambino schizzinoso e curioso che è in noi si eccita. Poi si apprendono lezioni non noiose di evoluzione darwiniana. Infine, raccontando per esempio la storia dei pidocchi, viene raccontata anche la storia dell’uomo, o meglio: la storia in comune che noi raffinati sapiens abbiamo avuto con i fastidiosi insetti».

Antonio Pascale, La Lettura Corriere della Sera

 

«Questi esseri estremi, che nel corso delle generazioni hanno mobilitato le risorse a loro disposizione per sopravvivere in ambienti inospitali, sono perfetti per illustrare le logiche dell’adattamento e il funzionamento della vita. Scheda dopo scheda, l’autrice presenta questi mostriciattoli con verve e affetto. Dopo aver conosciuto nematomorfi e candirù, missine e tardigradi, gimnuri e desman, avrà la sensazione di aver esplorato un paesaggio di cui non sospettava l’esistenza, un mondo più ampio, che permette di vedere sotto una nuova luce quello conosciuto».

Giuliano Milani, Internazionale

 

«Che cos’hanno in comune i polpi con i replicanti di Blade Runner? E Alien e una larva di crostaceo?»

«A dispetto del nome interessante, il calamaro vampiro non è né un calamaro né un vampiro»

«Gli animali improbabili, per sopravvivere, tendono a occupare nicchie ecologiche impossibili»

«Immaginate di essere senza gambe, braccia, ciechi e sordi. Siete in un incubo? No, siete una cecilia»

 

“L’orologiaio miope”

 

 

Lisa Signorile, laureata in biologia all’Imperial College di Londra, ha lasciato un lavoro di biochimica per dedicarsi al trasloco di tritoni, al conto dei topi tropicali, all’inseguimento di lupi e scoiattoli (per passione) e all’insegnamento (per pagare le bollette). Per noi ha scritto “L’orologiaio miope”, un libro che racconta tutti quegli animali la cui esistenza è trascurata o persino ignorata: gli animali strani, brutti e impossibili.

 

 

Questa settimana l’abbiamo intervistata: per sapere com’è nata la sua passione per le nicchie ecologiche estreme, ma non solo.

 

  • Perché ha scelto di parlare di animali strani e che nessuno conosce?

Perché mi ero stufata dei leoni e delle zebre che vedevo quotidianamente nei documentari in TV, da qualche parte bisognava pur cominciare a parlare degli altri tre milioni -minimo- di animali.

 

  • Gli animali “misteriosi” di cui si sa poco sono moltissimi. Quale, secondo lei, varrebbe la pena scoprire più approfonditamente e perché?

Domanda difficile: ogni specie in sé racchiude informazioni interessanti e che varrebbe la pena di conoscere. Forse però il mio penny lo punterei sulle balene, prima che scompaiano del tutto. Parlano tra di loro con lingue e dialetti, sognano continuando a nuotare e hanno coscienza di sé. Piu’ di quanto ci si aspetti da alcuni umani, soprattutto la parte del nuoto. Ne sappiamo però ancora davvero molto poco.

 

  • Sulla base delle analisi genetiche si scoprono ogni anno una miriade di “nuove specie” che, da sempre, venivano considerate la stessa perché interfeconde e somiglianti dal punto di vista morfologico. A chi dare ascolto? Può ancora essere considerata valida la regola per cui se due animali sono interfecondi appartengono alla stessa specie o è ormai una teoria superata?

A dire la verità sulla base di analisi genetiche si scopre anche che animali dall’aspetto quasi identico sono in realtà specie diverse, e specie che venivano considerate differenti erano magari il maschio e la femmina, o il giovane e l’adulto, della stessa specie. Date queste premesse, quella dell’essere interfecondi o meno è l’unico criterio veramente oggettivo che abbiamo se vogliamo usare il nostro arbitrario sistema di classificazione della natura, e sarebbe il caso di tenercelo stretto, che si usi la genetica o meno.

 

  • Si sente spesso dire che la biodiversità è in calo un po’ ovunque, ma la gente comune non sembra particolarmente preoccupata, forse perché poco informata. Durante le Sue ricerche/studi in giro per il mondo, qual è stato il Paese in cui ha riscontrato una maggior sensibilità all’argomento? Quali potrebbero essere, secondo Lei, le ragioni di questa maggior sensibilità?

Sicuramente esistono differenze culturali che portano a considerare più o meno la biodiversità come un patrimonio da difendere, e penso che i fattori che conducono a queste differenze di approccio siano molti, ma credo che i due più importanti siano l’economia e l’istruzione: l’economia perché nei paesi in via di sviluppo o del Terzo Mondo spesso è necessario dare priorità a riempire lo stomaco piuttosto che mantenere gli ecosistemi intatti, e l’istruzione perché per conservare la biodiversità bisogna capirne l’importanza, e questo non è immediato. Nel Regno Unito, dove vivo, c’è sicuramente attenzione verso questo argomento, e non è un caso che sia il paese dove sono nati Charles Darwin, Alfred Wallace, David Attemborough, Richard Dawkins e molti altri scienziati e divulgatori scientifici. Alcuni paesi che ho visitato non sono da meno, come l’Australia, o il Giappone che, nonostante la caccia alle balene, protegge con zelo la propria vastissima biodiversità. In Occidente invece sarebbe il caso di ribaltare la domanda e chiedersi perché nazioni relativamente ricche e istruite come l’Italia o la Spagna non investano nella protezione dell’ambiente, e quindi della biodiversità. Ho citato Italia e Spagna perché sono entrambi punti caldi di biodiversità, zone che hanno fornito rifugio agli animali e alle piante durante l’ultima glaciazione e sono stati un serbatoio genetico per la ricolonizzazione del resto d’Europa. Peccato che pochi lo sappiano, e il motivo per cui tutto questo non è mai stato valorizzato bisognerebbe chiederlo innanzitutto alla nostra classe dirigente, passata e presente.

 

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