I popoli vergini

In un bellissimo servizio di Marie Claire sulle popolazioni “vergini” del mondo (gli Huli della Papua Nuova Guinea, i Drokpa del Ladakh, per fare solo due esempi), viene intervistato anche Luca Cavalli Sforza:

 

«Antropologo genetista, ha curato la mostra Homo Sapiens. La grande storia della diversità umana (Codice Edizioni), al Broletto di Novara fino al 30/6.

Come si possono conoscere le popolazioni indigene senza cadere nell’effetto safari umano?
La cosa migliore per loro è che non ci incontriamo mai, che gli si lascia la foresta o il territorio necessario per vivere. Che li si lasci liberi di scegliere quali contatti avere. Un antropologo può spingersi a studiarli, ma accompagnato da qualcuno del posto e usando tutte le precauzioni per non infettarli.

C’è una forma di scambio possibile?
Penso agli Aeta nel Nordovest delle Filippine, che vivono in condizioni primitive, convertiti all’agricoltura. Un progetto finanziato dalle Nazioni Unite dei Ragazzi ha portato impianti fotovoltaici e computer in un prefabbricato a due giorni di marcia dalla città più vicina. Così i giovani Aeta possono studiare, pur mantenendo l’isolamento dalla cosiddettà civiltà; sviluppare uno stile di vita autonomo sfruttando i benefici delle conoscenze, ma senza globalizzarsi. É un progetto possibile e incoraggiante, ma l’hanno completato quattro mesi fa, chissà che esito avrà».

 

 

 

 

 

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