«Da quindici anni, a dicembre, l’agente letterario John Brockman tira fuori il suo schedario e chiede a un nutrito gruppo di scienziati e scrittori famosi di riflettere su una domanda. Tipo: quale nuovo concetto scientifico migliorerebbe il bagaglio di strumenti cognitivi di tutti? Oppure: su che cosa hai cambiato idea?
Quest’anno i relatori di Brockman (me compreso) hanno accettato di concentrare le loro riflessioni su questo tema: di che cosa dobbiamo avere paura?
Ci sono il fiscal cliff, la crisi europea, le continue tensioni nel Medio Oriente.
Ma le cose che potranno accadere di qui a venti, cinquanta, o cent’anni? La premessa, come ha detto lo storico della scienza George Dyson, è questa: «Le persone tendono a preoccuparsi troppo di cose per cui non ha senso preoccuparsi, e a non preoccuparsi abbastanza di cose per cui avrebbe senso farlo».
Al progetto hanno contribuito centocinquanta collaboratori, e il risultato è una raccolta di saggi appena pubblicata, intitolata “What *Should* We Be Worried About?” (scaricabile QUI).
Alcuni di questi saggi sono un po’ troppo disinvolti; forse suona confortante dire che «l’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è la preoccupazione» (come diversi contributor hanno suggerito), ma chiunque abbia vissuto cose come Chernobyl o Fukushima la pensa diversamente. Sopravvivere alle catastrofi richiede piani di emergenza, cioè la stessa cosa che richiede l’evitarli.
Molti saggi però sono profondi, e si concentrano su un’ampia gamma di sfide per cui la società non è ancora adeguatamente preparata».
Gary Marcus, The New Yorker (per continuare a leggere, clicca QUI).
«È possibile inventare una singola macchina che possa essere usata per calcolare qualunque successione calcolabile». Con queste parole Alan Turing, il leggendario matematico che riuscì a decrittare il codice Enigma dei nazisti, immaginò nel 1936 l’esistenza di quello che per noi oggi è un oggetto più che quotidiano: il computer. Quasi vent’anni dopo, nel 1953, un gruppo di fisici e ingegneri, guidati dal genio e dalla determinazione di John von Neumann, diede forma alla profetica intuizione di Turing e costruì a Princeton il primo calcolatore programmabile, dedicato inizialmente ai calcoli balistici per l’industria militare. Con una potenza di calcolo di appena 5 kilobyte – la stessa che oggi serve a malapena a muovere il cursore sui nostri schermi – von Neumann e i suoi mossero i primi passi nel neonato universo digitale. E il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso.