– Nuove uscite –
Narrativa: Esercizio di obbedienza di Sarah Bernstein
Dal 4 settembre in libreria e in e-book Esercizio di obbedienza di Sarah Bernstein.
«Sono nato per un accidente a Napoli, nel 1966, e ho vissuto per molti anni a Caserta. Ultimo figlio di un’onorata civiltà contadina. Caratteristica dominante di questa (mia) classe? Scarsa attitudine al viaggio, almeno nel suo senso ludico. Prendete mio nonno, bastano due aggettivi: tanto e poco. Tanta fame, poche occasioni. Coltivazione di cereali e ortofrutta in regime strettamente biologico. Macché scelta etica. Niente agrofarmaci, niente diserbanti, niente concimi. Risultato? Povertà e tanta fame, figuratevi se pensava a viaggiare. Un uomo a chilometro zero. Il mondo al di là del massiccio del Maltese gli deve essere apparso ostile , e chissà come e se, ai primi del Novecento, immaginava altri contadini al di là delle montagne.
Però, già mio padre e mia madre, grazie al boom, erano riusciti in una piccola impresa: affrancarsi dalla terra. E finalmente allora -erano gli anni ’60, le minigonne, le macchine, l’autostrada del Sole e quello spirito di fiducia nel prossimo- almeno un viaggio, quello di nozze, l’avevano fatto. Per la mia generazione, in fondo, il concetto di viaggio è di recente acquisizione. Voglio dire -a parte l’abitudine ereditata- metti la provincia. Caserta era una città di stampo borbonico. Sembrava appagata, il passato era il presente e il futuro era sempre peggio del passato. Aggiungi alla già decadente cultura borbonica la tradizione napoletana, il teatro, la sceneggiata, una certa musica (o meglio un modo di interpretare tutto questo). Pensavamo che tutto quello che accadeva dalle nostre parti era eccezionale, unico. Vitalità, colore, immaginazione. Come ci sentivamo appagati! E allora perché confrontarsi, perché viaggiare?».
Antonio Pascale, Il Corriere della Sera (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).
Antonio Pascale è autore per noi, insieme a Luca Rastello, di Democrazia: cosa può fare uno scrittore?
La parola, veicolo di conoscenza e informazione, sembra oggi aver perso il proprio potenziale critico e analitico, e la sua fondamentale funzione di sprone e stimolo. Negli ultimi vent’anni l’informazione giornalistica e la televisione l’hanno ridotta a puro strumento retorico, volto a creare consenso oppure a offrire slogan consolatori e di facile presa. Lo scrittore – sia egli letterato, giornalista o divulgatore – può ancora contribuire alla crescita di una coscienza democratica diffusa e matura? O siamo condannati a subire questo svuotamento di significato, e a rinunciare ad ogni desiderio di sapere?