«Marco e Luigi sono due fratelli che da tempo si sono persi di vista. Per molti anni hanno condiviso tutte le principali esperienze, dall’infanzia spensierata in una famiglia apparentemente felice agli studi affrontati con entusiasmo alternato a periodi di svogliatezza. Al momento di entrare nel mondo del lavoro le loro strade hanno preso direzioni diverse, sebbene entrambi si occupino di finanza. Marco ha vissuto una difficile vita familiare, con una dolorosa separazione dalla moglie e, a causa del suo comportamento aggressivo nel contenzioso, ha finito con il perdere la potestà genitoriale sui due figli. I suoi nervi, come ripete spesso, sono a pezzi e non riesce a vedere per sé un futuro sereno. Luigi è un ottimo padre di famiglia e ha costruito una solida relazione di amore e comprensione con la propria partner. Ma in poche settimane un socio avventato e disone sto provoca il tracollo della sua compagnia con investimenti sbagliati in borsa, lasciando Luigi in un imprevedibile baratro economico e professionale. La stessa notte, in città diverse, Marco e Luigi vanno alla ricerca di qualcosa che pensano possa dare loro conforto ed energia. Marco da mesi è un consumatore abituale di cocaina, Luigi non ne ha mai fatto uso.
Marco si serve da Luis, uno spacciatore sudamericano senza scrupoli, che per non perdere il suo primo cliente ricco e assiduo non ha esitato a sparare a un rivale che proponeva la merce a un prezzo inferiore. Se riuscirà in fretta a procurarsi un po’ di contanti, è intenzionato ad assoldare un paio di giovani pronti a scatenare per lui una guerra tra bande, in modo da allargare il suo mercato. Senza nulla sapere, Marco gli anticipa il pagamento di una robusta fornitura e Luis dà il via a un feroce regolamento di conti tra gruppi criminali, che coinvolgerà anche inermi passanti. Luigi vaga in un parco periferico sperando di incontrare qualcuno che gli offra spontaneamente la sostanza, come ha sentito dire che spesso accade. E in effetti si imbatte in Mark, uno spacciatore africano che vuole smettere con le attività illegali e, dopo molte esitazioni, quella sera si è ripromesso di dire basta se piazzerà interamente l’ultima “partita”. Senza nulla sapere, Luigi, che non vuole correre altri rischi in futuro, compra tutte le bustine e fa sì che Mark cominci il suo percorso di emendazione. Luigi inala la cocaina e, ignaro dei
suoi effetti complessivi, si mette al volante. Preso dall’euforia, accelera sulle strade deserte e non riesce a fermarsi a un semaforo rosso: investe un’altra auto e provoca il ferimento del conducente, che resterà menomato. Chiama un’ambulanza e poi se ne va. Nel frattempo, Marco è tornato a casa guidando prudentemente, come ha imparato a fare dopo le prime folli corse sotto l’effetto degli stupefacenti, durante le quali non ha mai avuto incidenti. Prima di addormentarsi ripensa all’idea di dare qualche consiglio fuorviante ai clienti che dovrà incontrare la mattina successiva, allo scopo di ottenere maggiori provvigioni su investimenti inutilmente rischiosi. Lo frena solo la considerazione di quanto il fratello gli diceva ogni tanto al telefono: siamo come i medici del denaro di chi si affida a noi, non possiamo venire meno alla fiducia e all’ideale giuramento di comportarci sempre in maniera da mettere al primo posto l’interesse
di chi si rivolge a noi. All’alba successiva entrambi vengono svegliati dalla polizia, che incrimina Luigi per l’incidente e Marco per la droga detenuta in casa. Quest’ultimo non tenta nemmeno una difesa, mentre il primo si affida a un agguerrito avvocato, il quale fa analizzare la cocaina e scopre che era stata tagliata con altre sostanze molto più potenti. Al processo chiederà che Luigi sia giudicato incapace di intendere e volere al momento dell’incidente, come se fosse stato drogato a sua insaputa. Se Luigi non sarà sanzionato dalla giustizia, non potrà comunque evitare un forte senso di colpa, che discende dalla sua storia di rettitudine personale. Marco avrà una pena, che però ritiene immeritata: “La cocaina la comprano tutti e io non ho fatto niente di male”. Il giudizio soggettivo dei due fratelli può differire da alcune nostre intuizioni morali, ma la loro storia ci aiuta ad affrontare lo sfaccettato e complesso concetto espresso da una parola che nell’esporre la vicenda immaginaria di Marco e Luigi abbiamo deliberatamente evitato, un concetto che permea la storia fin dall’inizio: responsabilità. Un primo senso di responsabilità riferito alle persone riguarda le azioni volontarie che hanno effetti moralmente significativi: se è appropriato, nella circostanza data, attribuire biasimo o lode a un
individuo per ciò che ha fatto, allora egli è responsabile delle proprie azioni. Un’altra sfumatura dell’essere responsabile verso qualcosa implica l’avere doveri o obblighi nei confronti dell’oggetto della responsabilità. Più in generale, essere responsabili significa essere tenuti a rispondere, ovvero a dare ragione e a subire le conseguenze di un’azione o di uno stato di cose dei quali si è la causa, in generale ma non necessariamente, tramite la propria volontà libera. Questo è il tipo di responsabilità che riguarda più direttamente gli esseri umani, anche se c’è un senso di responsabilità causale che è quasi sempre implicato, quello per il quale diciamo che l’esplosione di una bomba è responsabile della strage o un monsone è responsabile dell’inondazione. In questo senso, secondo Kane (1996; 1999), un agente è responsabile di qualche stato o evento (E) se l’agente ha volontariamente contributo causalmente all’accadere di
E, facendo una differenza rispetto all’accadere di E. Inoltre, se l’evento/stato X è causa o motivo sufficiente dell’evento/stato Y e l’agente causa X, egli è responsabile anche di Y. Marco è in qualche modo responsabile dell’avvio del sanguinoso scontro tra bande di trafficanti di droga? E Luigi è responsabile dell’incidente (e della menomazione del conducente della vettura travolta)? Chi dei due si può definire una persona responsabile? O la domanda è in questo caso mal posta, perché tale genere di responsabilità non viene nella forma “tutto o niente”, bensì con una gradazione lungo un continuum? E una sentenza di tribunale che sancisce o meno l’imputabilità e la colpevolezza afferma anche la responsabilità, oppure si tratta di concetti che vanno distinti? Avere avuto una vita felice e fortunata ha qualche influenza sul nostro giudizio di approvazione per chi si comporta bene verso il proprio prossimo? E, al contrario, sapere che una persona ha subito gravi abusi nell’infanzia la scusa e la rende meno responsabile per i maltrattamenti che potrebbe infliggere ai propri figli? Oggi, poi, potremmo scoprire che Marco ha un allele (una versione particolare di un gene) che lo fa inclinare alla dipendenza da sostanze e che, pertanto, tutti i suoi guai discendono dal quel “difetto” scritto nel suo DNA, per ovviare al quale nulla può fare (ma forse potrà cercare aiuto per stare lontano dalla cocaina). Anche per Luigi si potrebbe documentare un improvviso calo del neuromodulatore serotonina al momento del tracollo della sua società: quella temporanea alterazione del funzionamento cerebrale avrebbe portato a una condotta sconsiderata persino chi ha sempre vissuto rettamente. O magari, senza chiamare in causa il cervello, è sufficiente una situazione difficile per far vacillare il nostro equilibrio faticosamente raggiunto. Ancora, se sia Marco sia Luigi hanno guidato in modo spericolato sotto gli effetti della cocaina, ma uno solo ha provocato una collisione, è giusto dare diversi giudizi morali al loro comportamento, non sono entrambi responsabili di un’azione riprovevole, che solo per caso ha avuto effetti diversi? In definitiva, la responsabilità ha davvero per precondizione assoluta la libertà di chi ha agito?
Una serie di domande che da sempre l’uomo si è posto e che la filosofia ha messo esplicitamente a tema a partire almeno da Aristotele. La responsabilità sembra un concetto indispensabile per la nostra vita morale e sociale. Le nostre interazioni sono intessute di attribuzioni rispetto alla paternità dell’azione, alle conseguenze che esse mettono in capo al loro autore e dei giudizi morali e legali che sulla base di esse formuliamo. L’intero edificio dell’etica, del diritto, della politica, ma anche della religione, poggia su queste fondamenta. Tutto ciò sarebbe un buon motivo per dedicare un libro al tema, se non fosse che mari di inchiostro sono stati già versati e crescenti quantità di bit elettronici sono dedicate a rispondere alle domande di cui
abbiamo fornito solo un parziale elenco introduttivo. Che cosa giustifica dunque un’ulteriore ripresa dell’argomento? I tentativi di chiarificazione al mutare del panorama culturale e filosofico possono essere utili, ma oggi forse c’è un motivo valido in più. O, meglio, una serie di motivi connessi. Come vedremo, l’idea stessa di responsabilità è messa fortemente in discussione o, per lo meno, lo è una nozione classica e di senso comune. E questo accade perché riprendono forza gli argomenti deterministici che negano il libero arbitrio, ovvero la precondizione dell’essere tenuti responsabili di qualcosa. E anche i tentativi compatibilistici, cioè le teorie che sganciano la responsabilità dalla libertà sono sotto attacco da parte di coloro che, non a torto, sottolineano l’ineliminabile ruolo della sorte (della fortuna) nelle vicende umane. Che merito o che colpa abbiamo se la natura ci ha regalato un temperamento mite e riflessivo oppure impulsivo e irascibile? Il carattere complessivo si può plasmare con l’educazione e la forza di volontà, si potrebbe obiettare. Certo, ma l’educazione che si riceve da bambini è al di fuori del nostro controllo e la forza di volontà costituisce un altro dono di natura, che qualcuno possiede e qualcuno no. Ciò che in questi anni sta emergendo è una concezione naturalistica e naturalizzata dell’essere umano, che connette ai meccanismi del mondo fisico l’intera gamma dei nostri comportamenti, enormemente raffinati ed elaborati, tuttavia non sganciati dalla rete causale strutturata dalle leggi immutabili della materia. Sono in particolare le neuroscienze ad avere portato, per così dire, il determinismo direttamente dentro il cervello. Così, quella che era un’antica sfida metafisica alla libertà è diventata una questione empirico-sperimentale che si studia nei laboratori, sia in quelli delle scienze sociali sia in quelli delle scienze cognitive. Come si vedrà, la responsabilità è (anche) un concetto normativo, che non si può misurare con qualche apparecchio apposito e che, anzi, proprio in virtù di alcune sue definizioni stipulative, sfugge alla pretesa della pura confutazione fattuale, per caratterizzarsi come un costrutto sociale forse immune dal naturalismo (cfr. Gazzaniga, 2012)».
Da Quanto siamo responsabili? Filosofia, neuroscienze e società, di Mario De Caro, Andrea Lavazza e Giuseppe Sartori
Si può vivere senza responsabilità?
Uno sguardo interdisciplinare su uno degli aspetti più affascinanti della natura umana. Con i contributi di alcuni fra i maggiori esperti italiani e internazionali.