«L’indignazione può davvero cambiare il mondo? Sì, ma a una condizione: che sia accompagnata dal conflitto. La domanda e la risposta stanno tutte nel titolo dell’ultimo libro di Pierfranco Pellizzetti appena uscito in libreria ed edito da Codice Edizioni: (leggi un estratto: Un decalogo per il conflitto sociale).
È un saggio che conferma l’impianto analitico di Luciano Gallino e del suo “La lotta di classe dopo la lotta di classe” (Laterza) — ovvero il racconto di un capitalismo che ha trovato nella finanziarizzazione il luogo e il metodo per slacciarsi dal conflitto con il mondo del lavoro; fomentando così il processo di redistribuzione delle risorse in atto, ma dal basso verso l’alto — ma che tenta di andare oltre, di indicare una strada. Perché la rabbia e la critica del movimento da sole non bastano. Occorre la responsabilizzazione personale, e qui Pellizzetti sembra per un attimo affacciarsi alla cronaca politica (Movimento Cinque Stelle?): «Nel momento stesso in cui il movimento sociale si appiattisce sul proprio portavoce assistiamo al riproporsi della delega acritica, che svilisce l’insorgenza a partitino, e al virare della protesta in una sorta di tifo da stadio: pura appartenenza tendente al fanatico, per cui ogni voce dissenziente diventa la blasfemia del miscredente, l’eresia da esecrare perché turba le certezze appena conquistate in un’identità salvifica».
Ma a parte questo, Pellizzetti stila un decalogo che spiega “come fare”, come risollevare le sorti dei “senza potere”. Il punto 4 è probabilmente il più interessante, perché se il neoliberismo che ha causato la crisi viene indicato a reti unificate come unico modello per risolvere la crisi allora sì, c’è davvero bisogno di “smascherare le strategie comunicative del potere per far emergere l’effettiva consapevolezza di sé e dei propri interessi reali dei dominati, al fine di iniziare a pensarsi come soggetto collettivo. A fronte di ricorrenti operazioni di depistaggio per indurre falsa coscienza (anticamera di “lotte tra poveri” diversive)”».
Matteo Pucciarelli, Micromega (per continuare a leggere, clicca QUI)
Stiamo assistendo, in questi anni, a una progressiva accelerazione delle insorgenze sociali: dalle piazze maghrebine agli indignados fino a Occupy Wall Street, l’opposizione al vigente ordine economico e politico si è diffusa a macchia d’olio. Eppure le logiche che hanno regolato il mondo negli ultimi trent’anni non sono state neanche scalfite, e l’antagonismo è rimasto confinato nella dimensione sterile della pura testimonianza, politicamente inerte. Perché?