Se il crimine è “malattia”, a cosa serve la giustizia?

Il Giornale

Più si approfondiscono gli studi sul cervello, più diventa labile il concetto di capace di intendere e di volere. E c’è il rischio di un ritorno lombrosiano“: così inizia l’articolo di Matteo Sacchi apparso oggi su Il Giornale, che parla del libro di Andrea Lavazza e Luca Sammicheli “Il delitto del cervello”.

“Delitto e castigo sono alla base del diritto così come ragione e azione sono alla base della libertà umana. A loro volta, volontà e pulsioni costituiscono la base della psicologia. Questi tre binomi normalmente sembrano potersi sovrapporre abbastanza facilmente. Tant’è che per essere punibili di un delitto, in quasi tutti gli ordinamenti del mondo, bisogna essere considerati capaci di intendere e di volere (…) Ecco perché se una persona in preda a uno stato allucinatorio picchia un vicino di casa credendolo Bin Laden finisce all’ospedale psichiatrico e non in prigione. Negli ultimi vent’anni, però, la possibilità di stabilire solidi confini tra lucida volontà di fare del male e pulsione incontrollabile, è diventata più labile“.

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