Quando il bisturi era un coltello – Fabio Dalmasso, Airone

Airone

Su Airone Fabio Dalmasso dedica un lungo articolo ad alcuni degli aneddoti più interessanti (e truculenti) raccontati da Arnold van de Laar in Sotto i ferri.

«Un tempo la chirurgia richiedeva nervi saldi agli operatori e… vocazione al martirio agli operati»: non si sbaglia affatto Dalmasso, come dimostrano le storie di Sotto i ferri. Ancora nell’Ottocento si operava senza anestesia, e nel 1811 la scrittrice francese Frances D’Arblay fu sottoposta a un intervento di ben venti minuti. Le venne diagnosticato un tumore, e per lei la rimozione del seno era l’unica alternativa possibile. Nel corso dell’intervento svenne due volte e, anche se oggi sembra improbabile che avesse davvero un tumore, per fortuna sopravvisse molti anni all’operazione.

Per fortuna sì, perché per lungo tempo sottoporsi a un’operazione chirurgica era rischioso quasi quanto far progredire una malattia. Come nel caso del fabbro olandese Jan de Doot, affetto da calcoli vescicali che non gli davano tregua. De Doot si era già sottoposto a due operazioni con un tasso di mortalità del 40 per cento (che, come ricorda Van de Laar, «statisticamente comporta un rischio combinato del 64 per cento!»), ma i calcoli lo facevano soffrire così tanto che decise di asportarseli da solo, nella sua bottega da fabbro, con l’aiuto del suo (possiamo ragionevolente credere) terrorizzato garzone. Fortunato per la terza volta consecutiva, anche il coraggioso (o forse ormai esasperato) Jan sopravvisse, anche se molto probabilmente non si riprese mai del tutto dai postumi e dalle ferite dell’operazione.

Ci sono poi i casi celebri in cui purtroppo la medicina non era abbastanza progredita da individuare e curare una certa patologia: Van de Laar cita il caso di Lenin, che nel 1921 fu allontanato da Mosca per i suoi violentissime scatti d’ira. Nel 1918 era stato vittima di un attentato e alcune schegge di proiettile gli erano rimaste conficcate nel collo. I medici del tempo consideravano molto rischioso tentare di rimuoverle, ma dato che erano anche convinti che le schegge stessero causando un progressivo avvelenamento da piombo (che effettivamente provoca significative alterazioni del sistema nervoso), nel 1922 tentarono di rimuoverne almeno una. Il resto è ben noto: Lenin fu colpito nel giro di due anni da quattro ictus e morì. Al tempo si pensò all’operazione come causa degli ictus e della morte, ma oggi si può affermare che il leader della Rivoluzione russa soffrisse di ateriosclerosi delle carotidi, al tempo non diagnosticabile né curabile.

A questo link l’articolo completo.

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