«Come può la semplice materia generare la mente? La ricerca neuroscientifica su questo tema costituisce oggi un campo di ricerca aperto e suscita un diffuso interesse. Ma i molti libri, scritti da ottimi scienziati, che negli ultimi vent’anni hanno tentato di raccontare queste ricerche hanno spesso adottato lo schema sobrio e trionfale tipico del racconto divulgativo, che non riesce a renderne gli aspetti più profondi e controversi.
Phi. Un viaggio dal cervello all’anima del neuroscienziato e psichiatra Giulio Tononi (Codice edizioni, 35 euro, nella traduzione di Silvio Ferraresi e dello stesso Tononi) è un’eccezione: presentando il tema attraverso il racconto di un immaginario viaggio dantesco, il cui protagonista è Galileo Galilei, Tononi cerca una forma più adatta a render conto di un’indagine che oggi è solo in parte depositata in teorie sperimentalmente fondate, ma che pone apertamente questioni inseparabili da una dimensione filosofica e religiosa.
Il risultato non è un libro divulgativo, ma un romanzo filosofico che punta al cuore della nostra immagine del mondo. Un’opera complessa, e stilisticamente barocca, ma non per questo oscura – se solo si dipana il filo conduttore che l’attraversa.
Proviamo dunque a tracciare una mappa del libro, che è organizzato in tre parti. Nella prima parte, Evidenze. Esperimenti della natura, Galilei affronta il paradosso del rapporto tra coscienza e cervello. La coscienza genera tutta la nostra esperienza, “tutto ciò che per noi è reale”: in questo senso, come scrisse la poetessa Emily Dickinson, “il cervello è più grande del cielo”. Ma nello stesso tempo “ogni cervello non è che un’inezia nel vasto inventario dell’universo: una gelatina tremolante alloggiata in una tazza d’osso, una pagnotta coperta da un cappello, una misera spugna che un bicchiere di vino basta a ubriacare, e un pugno basta a farla a pezzi. Come può il cervello contenere il cielo?”.
Il personaggio Galilei scoprirà, osservando diversi casi di modificazioni e mutilazioni della coscienza dovute a lesioni del cervello, che da questo paradosso non si esce separando la coscienza dal cervello.
A seconda dello stato del cervello la coscienza può svanire in un corpo ancora vivo (brevemente, come nell’epilessia e nel sonno profondo; o stabilmente, nel coma); può permanere “imprigionata” in un uomo che non può più muoversi; si può frammentare, perdendo il controllo del movimento, la percezione visiva, la memoria; si può addirittura dividere in parti che non comunicano (nei casi di separazione degli emisferi cerebrali o di altri disturbi funzionali).
A guidare Galilei in queste prime scene dai toni cupi è Francis Crick, lo scopritore del dna e pioniere degli studi sui correlati neurali della coscienza: un materialista severo che convince Galilei del fatto che la coscienza dipende dal cervello, altrimenti non è nulla.
Crick dimostra a Galilei che ogni evidenza si contrappone al dualismo metafisico di mente e corpo sostenuto dal suo contemporaneo Cartesio, spingendolo a cercare una spiegazione alternativa a quella che chiamiamo anima.
Nella seconda parte del libro, Teoria. Esperimenti mentali, Galilei escogita una teoria della coscienza come risultato dell’integrazione dell’informazione effettuata dall’insieme dei neuroni. In questo difficile passaggio lo assiste un altro personaggio, Alan Turing, il primo teorico dell’intelligenza artificiale e dell’informatica.
Non è un caso: si tratta infatti di scoprire come un meccanismo fisico possa dar luogo alla coscienza, e il concetto di informazione risulta fondamentale.
In primo luogo, quindi, si tratta anche di capire in che cosa una semplice macchina capace di rilevare segnali dall’ambiente differisca dall’altrettanto materiale cervello umano.
L’idea, in breve, è questa: al contrario di un semplice meccanismo dotato di sensori, che seleziona uno tra due soli stati possibili (come fa pure un singolo neurone animale), il cervello umano, attraverso le numerosissime connessioni tra i neuroni (le sinapsi), è in grado di assumere un numero enorme di stati possibili.
Sappiamo che la riduzione delle connessioni attive – per cause fisiche o chimiche, naturali o indotte – riduce il contenuto della coscienza, o lo annulla. Così un meccanismo semplice e un cervello in cui saltino le connessioni sono ugualmente privi di coscienza.
Ecco dunque l’ipotesi fondamentale: la coscienza è informazione integrata.
Essa è dunque quantificabile, assumendo un grado maggiore al crescere di questa integrazione. Galilei-Tononi individua un criterio matematico per misurare l’integrazione dell’informazione in un sistema fisico, definendo così una nuova variabile naturale, come la massa e la carica elettrica, che chiama phi.
Questo approccio introduce un complesso sviluppo matematico. Proviamo a vedere intuitivamente in cosa consiste».
Paolo Pecere, Internazionale (per continuare a leggere sul sito di Internazionale, clicca QUI).
Romanzo-saggio potente e suggestivo, PHI regala alla teoria sulla coscienza di Giulio Tononi un’inaspettata veste narrativa. Protagonista di questo libro, in più punti ispirato alla Divina Commedia, è Galileo Galilei. L’astronomo pisano viene guidato in questo viaggio onirico prima da Francis Crick, poi da Alan Turing e infine da Charles Darwin, alla scoperta di cos’è la coscienza e di com’è generata dal cervello. Ma l’approdo finale di questa esplorazione è ancora più sorprendente delle sue premesse. Nel corso della narrazione Galileo, e con lui il lettore, scoprirà che la coscienza, da sempre considerata un mistero insondabile, appannaggio esclusivo della filosofia o mera illusione -laddove ciò che conta per la scienza è solo il brusio incessante delle cellule nervose- è in realtà la cosa più reale, più grande e più irriducibile che esista, ma non per questo non misurabile. Le sue forme sono geometriche, la sua misura un numero: PHI.
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