«Perché le persone sono divise dalla politica e dalla religione?
La ragione non va ricercata, come farebbero i manichei, nel fatto che alcune persone sono buone e altre cattive. Piuttosto, la spiegazione risiede nella natura delle nostre menti, che sono predisposte a farci sentire nel giusto (solo) all’interno del gruppo cui apparteniamo. Siamo creature profondamente intuitive, il cui ragionamento strategico è guidato dall’istinto. Tutto questo rende difficile (ma non impossibile) trovarsi in sintonia con quanti vivono in base ad altri sistemi morali, spesso costruiti a partire da diverse configurazioni dei medesimi principi a disposizione.
Il mio amato campo di ricerca, la psicologia morale, è la chiave per comprendere la politica, la religione, e la nostra spettacolare ascesa al dominio del pianeta. Il primo principio della psicologia morale è che le intuizioni precedono il ragionamento strategico. Il modello intuizionista sociale utilizzato per affrontare l’illusione razionalista ha come eroi David Hume (che ci ha aiutati a sfuggire al razionalismo e a rifugiarci nell’intuizionismo) e Glaucone (che ci ha mostrato l’importanza della reputazione e di altri vincoli esterni per la creazione di un ordine morale). Voi stessi -e chiunque altro attorno a voi- dovete immaginarvi come piccoli portatori in groppa a un enorme elefante. Avere in mente una cosa del genere può rendervi più pazienti nei confronti degli altri. Se vi capiterà ancora di inventare ridicole argomentazioni post hoc, potreste rendervi conto che non è il caso di liquidare gli altri con tanta fretta solo perché vi sembra di riuscire a confutare facilmente i loro ragionamenti. Nella psicologia morale, l’azione non corrisponde alle dichiarazioni del portatore.
Il secondo principio della psicologia morale è che la morale è molto più di una questione di danno e correttezza. Il mio viaggio in India e il tempo trascorso lì mi hanno aiutato a uscire dalla mia matrice morale e ad accorgermi dell’esistenza di questioni morali diverse dalle mie. La mente virtuosa va pensata come una lingua con sei recettori del gusto. La deontologia e l’utilitarismo sono morali “a recettore unico”, che tendono ad attrarre soprattutto persone con elevate capacità di sistematizzazione e bassa empatia. Sei validi candidati come recettori di gusto della mente virtuosa sono libertà, protezione, correttezza, lealtà, autorità e sacralità. In questa storia gli eroi sono stati Richard Shweder (che ha esteso la nostra capacità di comprendere il dominio morale) ed Emile Durkheim (che ci ha mostrato il motivo per cui tante persone, soprattutto i tradizionalisti, danno importanza ai vincolanti principi di lealtà, autorità e sacralità).
Il terzo e ultimo principio della psicologia morale è che la moralità unisce e acceca. Siamo il prodotto di una selezione multilivello che ci ha trasformati in Homo duplex. Siamo egoisti e siamo “gruppisti”. Siamo per il 90 per cento scimpanzé e per il 10 per cento api. Ho suggerito l’idea che la religione abbia giocato un ruolo fondamentale nella nostra evoluzione: le menti e le pratiche religiose si sono evolute insieme per realizzare comunità morali sempre più estese, soprattutto dopo l’avvento dell’agricoltura. Qui gli eroi sono stati Charles Darwin (che ha formulato la teoria dell’evoluzione, che include la selezione multilivello) ed Emile Durkheim (che ci ha mostrato la nostra natura di Homo duplex forgiata forse, almeno in parte, dalla selezione a livello di gruppo).
Sospettate dei monisti della morale. Guardatevi da chiunque insista nell’affermare che la morale è unica per tutte le genti, per tutti i tempi e per tutti i luoghi; specie se poi quella morale è fondata su un singolo principio. Le società umane sono complesse: i loro bisogni e le sfide che devono affrontare sono complesse: i loro bisogni e le sfide che devono affrontare sono variabili. La nostra mente contiene una specie di catalogo di sistemi psicologici, fra i quali non mancano i sei principi morali, che possono essere utilizzati per andare incontro a queste sfide e per costruire autentiche comunità morali. Non è necessario utilizzare tutti i sei principi, e ci saranno senz’altro organizzazioni o sottoculture che vivono bene impiegandone solo uno. Ma se qualcuno vi dicesse che tutte le società, in tutte le epoche, dovrebbero fare riferimento a una particolare matrice morale, basandosi su una particolare configurazione di principi morali, state pur sicuri di avere a che fare con un fondamentalista, qualunque sia il suo genere».
Un estratto da Menti tribali di Jonathan Haidt, pubblicato ieri da Domenica – Il Sole 24 ore (per continuare a leggere, clicca QUI).
Da vent’anni Jonathan Haidt, psicologo morale e filosofo, indaga i meccanismi profondi che regolano la nostra esistenza, le decisioni che prendiamo, i valori che crediamo universali, che condividiamo o che rifiutiamo. Il giudizio morale è secondo Haidt la bussola che, dalle piccole scelte quotidiane ai grandi temi della politica e della religione, orienta la tendenza naturale dell’uomo a riunirsi in tribù e a dividersi su ciò che si ritiene essere giusto o sbagliato. Menti tribali, arrivato ai vertici della classifica del New York Times, è un libro che propone una via alla convivenza e al dialogo, partendo dalla comprensione dei processi biologici ancestrali da cui nasce la nostra ricerca del bene.
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