La democrazia digitale ha crashato – un estratto dal libro di Fabio Chiusi

Europa

«Siamo proprio sicuri che per rinnovare la legittimità della democrazia in crisi, per liberarla dalle catene e aprirla a una nuova e più proficua partecipazione dei cittadini si debba passare attraverso l’implementazione di sofisticate piattaforme online? È sbagliato dubitare che l’uso di internet di per sé porterà a decisioni più efficaci, in termini di governance e di policy making? Davvero in futuro la democrazia sarà digitale o non sarà? (…)

L’Italia fornisce un punto di osservazione privilegiato. Forse mai come ora una democrazia avanzata è stata allo stesso tempo fragile e convinta di avere nel digitale una possibilità per rinvigorirsi. Così, il nostro paese è insieme quello dei record di sfiducia nelle istituzioni e degli esperimenti tra i più avanzati al mondo di implementazione di piattaforme informatiche nel processo politico.

È, allo stesso tempo, il detentore di odiosi primati (il digital divide e la lentezza delle connessioni) e la patria di un movimento (il Movimento 5 Stelle), costruito intorno a un’idea di democrazia digitale (l’“iperdemocrazia” di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio) che, nonostante l’evidente ingenuità teorica e le carenze pratiche, ha potuto incontrare il consenso di oltre un elettore su quattro. (…)

Come testimoniano i movimenti di protesta sorti in questi anni, da Occupy Wall Street agli indignados, da Anonymous alla retorica della primavera araba, chi chiede il cambiamento lo fa in molti casi secondo principi che paiono consonanti con quelli che i “guru” del settore attribuiscono a internet: nessuna leadership, sostituzione delle gerarchie con reti paritarie, passaggio – in molti casi – dalle decisioni a maggioranza a quelle per consenso tramite assemblee, reali e/o virtuali. Il tutto dovrebbe manifestarsi secondo i mantra indubitabili del 2.0: condivisione, trasparenza, partecipazione, dialogo (di nuovo, tra pari).

Il digitale è, secondo questa visione del rinnovamento della politica, un facilitatore, ma anche lo strumento che consente di ridurre i tanti dubbi testimoniati nella storia del pensiero sulla democrazia diretta – cioè esercitata dal popolo sovrano direttamente, senza delega – a zero, mostrando finalmente che gli individui, attraverso l’intelligenza collettiva, sono in grado di autogovernarsi. E che se finora non hanno potuto farlo, così prosegue la vulgata, è perché “il potere” ha insegnato al “popolo” la paura di se stesso, lo ha addomesticato inculcandogli di essere collettivamente troppo ignorante, distratto e impegnato per prendersi cura di sé non solo come, ma meglio dei professionisti eletti per farlo in sua vece».

Fabio Chiusi, Critica della democrazia digitale. La politica 2.0 alla prova dei fatti – estratto pubblicato da Europa Quotidiano (per continuare a leggere, clicca QUI).

 

chiusiDa decenni gli esperti si dividono sulla possibilità della rete di permettere una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, fino all’utopia dell’autogoverno del popolo, che secondo molti equivarrebbe a una versione “social media” della democrazia diretta ateniese. Ora che sono stati condotti in tutto il mondo esperimenti per implementare soluzioni tecnologiche nelle procedure democratiche, è tempo di chiedersi se i risultati prodotti siano all’altezza delle aspettative. Descrivendo un panorama contraddittorio ma ricco di potenzialità, Fabio Chiusi ci racconta le più interessanti esperienze di democrazia digitale; soprattutto quelle italiane, che fanno del nostro Paese uno dei laboratori più avanzati e un osservatorio privilegiato per valutarne l’efficacia.

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