Non usa mezze ammissioni o formule disimpegnate Antonio Pascale nel suo nuovo breve saggio (condiviso con Luca Rastello) “Democrazia: cosa può fare uno scrittore? “ edito da Codice. Vuole piuttosto entrare a piedi pari nel processo di produzione della conoscenza che forma le opinioni. E lo fa ritornando all’antico concetto di misura, di rigore, di ricerca al di sotto della bella superficie edulcorata del chiacchiericcio, dell’immagine ben ideata, della soluzione facile che domina sulla scena pubblica. Partendo forse un po’ da lontano e da una riflessione troppo sbrigativa sull’idea del tragico (l’analisi sul mondo omerico mutuata da Julian Jaynes è bella e seducente ma non reggerebbe alla lente di un filologo), Pascale individua nel dibattito attuale sulle forme di conoscenza numerose scorie ascrivibili per lo più a un atteggiamento nostalgico verso il passato che penalizza l’azione e favorisce atteggiamenti massimalisti o esoterici.
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