«Immaginate che il protagonista si chiami Herzog, Henderson o Zuckerman, che tutte le donne amate, sedotte, derise e abbandonate siano quelle che affollano le pagine indimenticabili di Bellow e di Philip Roth, aggiungete una frenesia da commedia di Woody Allen -risate, sarcasmo, ottuse malinconie- e avrete tra le mani uno dei più felici e godibili risultati narrativi delle recenti stagioni, e senza dubbio il miglior romanzo scritto finora da Sebastiano Mondadori.
Gli amici che non ho è una sinfonia di disastri umani condita d’ironia e sferzate socio culturali, ma anche un esempio di come la letteratura sappia ancora trovare spazi di riflessione, confronto e scommessa sgomitando tra i troppi cliché popolari ammiccanti. Un romanzo borghese italiano condito in salsa ebraico-americana, un gioco di rimandi che scherza con il lettore ma coniuga le follie del protagonista con un diffuso disagio contemporaneo, in cui nulla -neanche il dolore e la morte- sembra più possedere una dignità morale collettiva.
Giuliano Sconforti sembra davvero uscito dalla penna del Roth più scatenato e del Bellow più ispirato. Le storie dei due grandi americani trovano spesso i loro personaggi alle prese con un momento critico che dà la stura a un profluvio di memorie disastrate, involontariamente comiche. Non è la vicenda a prendere il sopravvento, ma la rincorsa delle idee, delle gag, dei flash più imbarazzanti che conducono i personaggi sull’orlo del fallimento assoluto, come uomini ma anche come simboli della propria epoca. È quello che accade a Sconforti, nel suo vano peregrinare tra ex mogli ed ex amanti, rimpiazzate a raffica da sempre nuove e imprevedibili -ma non impreviste- tentazioni da risolvere tra le lenzuola. Giuliano Sconforti è l’uomo in bilico tra un passato difficile da accantonare e un presente in cui un modesto debito di quattromila euro con un rumeno che minaccia di fargli saltare il locale -il Bar Bucaneve- diventa occasione di fuga e di ricerca spasmodica, da cui emergono come schegge impazzite tutte le esperienze affettive della sua vita: mogli, figlie, amici, parenti… L’excursus tra i possibili benefattori è un percorso di guerra in cui Giuliano rievoca le sue tragedie private, rendendosi conto -forse- di essere sempre stato l’artefice dei propri successi ma anche il loro puntuale distruttore. Giuliano è stato un attor comico, uno spirito dissacratore alla Lenny Bruce, uno che faceva sesso con vecchie signore sul palco davanti al pubblico, uno che si è fatto due anni di carcere per furto e vilipendio di cadavere, vittima della propria arte ma soprattutto dei propri cambiamenti di rotta sentimentali. Le donne sono state -e ancora sono- tutto per il povero Sconforti, anche se da lui hanno avuto solo grane e derisioni, visto che spesso utilizzava i loro segreti di letto per i suoi spettacoli provocatori. L’Attricetta, la Vedova, la Zita, l’Ebrea Errata, appellativi che giocano all’ammiccamento maschilista ma in fondo caratterizzano la fraglilità e l’irrequietezza di un uomo senza freni inibitori, che sfrutta amori e amicizie per trovare una via di fuga da una realtà dove non c’è spazio per le sceneggiate e per gli alibi della finzione. In un divertito, dissacrante andirivieni tra Milano, Roma e la piccola città in cui Sconforti gestisce il suo bar a rischio bomba, Mondadori ritrova la strada delle grandi narrazioni irriverenti, in “un racconto di Fitzgerald sceneggiato da Dino Risi”, per citare una definizione che è quasi un avviso ai naviganti. Gli amici che non ho è un romanzo quasi unico nei toni e nella sostanza, tra divertimento e caustica riflessione intellettuale, un gioco di rimandi -la figura del nonno Cesare (Arnoldo?)- e di citazioni, tra dramma, sesso, disgrazie e disperazioni immorali. Uno spot a favore del pubblico? Se Philip Roth leggesse questo romanzo, ritroverebbe la voglia di scrivere».
Sergio Pent, TuttoLibri – La Stampa (per leggere la versione originale dell’articolo uscita sulla Stampa, clicca QUI).
«Dentro il gonfiore di un’espressione attonita, la stessa di mio padre dopo i quarant’anni, cerco di rinvenire i tratti originali di una gioventù di cui è sopravvissuta solo la rabbia: ammansita dalle sconfitte, è una rabbia che dispera piano. Se sorrido, sono convinto di sorridere ancora con la dolcezza sprovveduta di un tempo»
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