«Il cane che, scodinzolando, ci porta la pantofola, è felice? Ciò che è certo è che prova un piacere fisico che, volendo, sarebbe anche un piacere chimico (penso alle endorfine). Tra l’altro per il cane la pantofola ha un significato particolare. Gli racconta infatti molto del suo padrone, e questo gli basta e avanza, perché lui il padrone lo ama. E poi, ci spiegano gli studiosi, il piacere è gratificante e autoremunerativo. Lo stesso discorso può valere per un gatto che si stira al sole, che fa le fusa, oppure che ha appena acchiappato un topolino. O per un ippopotamo che si fa curare la pelle dai pesciolini pulitori; o per due scimmie che si stanno spulciando. Oppure per due taccole, innamorate l’una dell’altra, che fanno esattamente la stessa cosa
(…) Per Shimon Edelman, che è psicologo alla Cornell University, la felicità non consisterebbe tanto nel raggiungimento di uno scopo, quanto piuttosto nel percorso che si compie per raggiungerlo. Proprio questo ci spiega nel suo saggio La felicità della ricerca. Le neuroscienze per stare bene (Codice Edizioni)».
Danilo Mainardi, Il Corriere della Sera (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).
La ricerca della felicità è da secoli un mantra per filosofi e letterati. Lo psicologo Shimon Edelman, partendo dall’immagine della mente come macchina complessa e stratificata che accumula sempre nuove esperienze, inverte gli elementi della formula per dimostrare che la felicità non sta tanto nel raggiungimento di un particolare stato esistenziale, quanto nell’incessante processo di crescita di tutti noi.