«Chi ha ammazzato l’Utopia? La dittatura dell’immagine. Che prolifica incessantemente e ha interrotto l’orologio biologico dell’immaginazione. Viviamo nell’epoca dell’autoscatto, immagine web 2.0. “Io sono, io riproduco, io sono tutte le facce che vedo”. Ma l’autoscatto genera un equivoco mortale, il rischio è che rimanga solo l’ “auto” e non ci sia più “scatto” in avanti, sfida dell’altro e del potere, che è solo più in là. É ancora possibile una beatitudine dell’immagine dell’altro senza esserne mortificati? Senza scambiare la onnipotenza bulimica per scambio sostanziale delle contraddizioni umane e politiche che derivano dal corpo a corpo delle relazioni?
Esiste un discorso utopico sul genere sessuato? Le donne sono potenza creativa e conservazione forzata, gli uomini sono la traduzione del mondo, ontologicamente affacciati sulla finestra sul mondo. Se l’utopia per eccellenza è che le donne non partoriscano con dolore e gli uomini non fatichino per vivere, la modernità meccanica per entrambi è un’evasione dal problema originario. Perché la donna ha l’obbligo di evocare e moltiplicare all’infinito la sua immagine. E l’uomo deve lavorare con fatica, perché ne va della sua, della loro estinzione.
Possibile che l’autodistruzione che disegna l’orizzonte è l’unica utopia che riusciamo a immaginare oggi? Possiamo fantasticare una nuova eterotrofia, un nutrimento diverso? Se la donna non conserva ed ossessiona la sua immagine viene meno il motivo della sua ragione sociale e della sua esistenza in vita, se l’uomo non opera con fatica fisica o mentale, viene meno l’assunto della sofferenza iniziale, invalidato il vanto di essere sopravvissuto a quei momenti esiziali in cui ha lottato per sopravvivere al mondo e alla madre.
Sia l’uomo che la donna pretendono dispoticamente l’appartenenza alla terra, e la loro traduzione nel mondo. Immiseriti se non possono godere dell’utopia dell’uno e dell’altra. Inclini per questo alla riconoscibilità tra esseri dalle stesse movenze.
Lo scontro drammatico che ci sta consumando oggi nell’apatia collettiva è tra ‘logos’ e ‘imago’».
Una riflessione di Monica Pepe su Micromega, «maturata a margine della presentazione del libro Utopie. Percorsi per immaginare il futuro, a cura di Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini» (per continuare a leggere, clicca QUI).
Utopia come anelito all’inesistente, al modello ideale. Ma utopia anche, e soprattutto, come stimolo al miglioramento, forza propulsiva e superamento di un difficile presente. La sociologa Lella Mazzoli e il giornalista Giorgio Zanchini hanno interrogato alcuni protagonisti del panorama culturale italiano, chiedendo di proporre, ognuno dal proprio osservatorio, una definizione di utopia, per contribuire così a tracciare una mappa ideale del futuro.