«Ho un figlio adolescente dal risveglio difficile. Una domenica mattina a mezzogiorno, entrando con cautela in camera sua per chiamarlo, sono rimasta sorpresa dal trovarlo già sveglio, intento a far scorrere le dita sullo schermo dell’iPhone. “Che fai?”, ho chiesto con tipica stupidità e invadenza materna. “Leggo”, ha risposto lui. “Ah sì?”, ho detto io incredula, “E che cosa leggi?”, “Le lettere a Lucilio di Seneca”, mi ha risposto. Sono bellissime, senti: “Se consideri amico uno e non ti fidi di lui come di te stesso, sbagli di grosso e non conosci abbastanza il valore della vera amicizia”, ha declamato con gli occhi e il pollice incollati al minuscolo schermo. Assai lusingata dai consumi culturali elevati di nostro figlio, ho raccontato questo episodio a suo padre. Il poveruomo si è inorgoglito, è andato in libreria, ha comprato le Lettere di Seneca per il figlio, che non ha neppure aperto il pacchetto.
Qualche tempo dopo, l’adolescente in questione è intervenuto in una discussione fra amici, a tavola, citando il concetto di guerra civile europea. “Hai letto Nolte?”, abbiamo chiesto, un po’ ironici. A scuola lo storico tedesco Ernst Nolte non viene studiato di certo. “Mah, gli ho dato un’occhiata sull’iPhone”, ha risposto mio figlio. Quando penso che non volevo comprarglielo, perché temevo che il suo disinteresse per la lettura si sarebbe aggravato, riconosco che sono solo una povera immigrante digitale: del mio tempo, e dei ragazzi che lo abitano, capisco poco. Secondo Marc Prensky, inventore della felice espressione “nativo digitale”, noi “immigranti digitali”, come tutti gli immigrati, alcuni meglio di altri, abbiamo conservato il nostro “accento”, il nostro piede nel passato. Anche io mi servo di computer e di telefoni touchscreen, ma non mi sognerei mai di usarli per leggere, e fatico molto ad adattarmi all’e-reader.
(…) Che cittadini diventeranno i bambini della touchscreen generation? In Surplus cognitivo. Creatività e generosità nell’era digitale (Codice Edizioni) Clay Shirky, docente della New York University che si occupa soprattutto della relazione tra educazione e nuove tecnologie, è ottimista e osa una predizione: “La facilità, la gratuità, le motivazioni altruistiche, il senso di equità, il desiderio di interattività, di partecipazione e confronto, oltre che essere il vero sale e la nuova opportunità offerta dai social network, trovano conferma in esperimenti neuroscientifici assai noti, che disegnano la natura umana in maniera assai meno egoistica e assai più cooperativa e animata da spirito civico di quanto le teorie dell’homo oeconomicus ci avevano fatto credere”».
Paola Tavella, Amica (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).
Questo è un libro sul tempo libero. Qualcosa di molto comune, certo, ma pensate di considerare il tempo libero dell’umanità come un unico insieme, una specie di surplus cognitivo, e di utilizzarlo attraverso i nuovi media e le possibilità di condivisione e di dialogo che offrono. Mentre i media del Ventesimo secolo permettevano un unico evento, il consumo, il cablaggio dell’umanità ci permette di trattare il tempo libero come una risorsa globale condivisa, e di immaginarci nuovi tipi di partecipazione.