«Un giocattolo serve per giocare. Punto. Poi, certo, insegna, spiega, accompagna nella scoperta dei misteri della vita. Ma dopo aver sfogliato La scienza dal giocattolaio – un simpatico libro scritto da Davide Coero Borga per Codice Edizioni – una sorta di dizionario illustrato dei giocattoli più famosi (dal frisbee, al Lego, al Dolce Forno), non si può fare a meno di pensare anche a tutti quegli alambicchi, formule chimiche e matematiche che si celano dietro ai balocchi.
Un libro a schede, che presenta in ordine cronologico – dall’aquilone agli evolutissimi Lego Mindstorm – 31 giocattoli. Con carte d’identità, suggerimenti pratici per giocare, e tutte le storie “dietro le quinte”: chi l’ha inventato, quando, come e perché. E naturalmente le curiosità e le implicazioni scientifiche. Quanti ingegneri ci sono tra i progettisti del Meccano? Lo sapete che i Lego vengono utilizzati per simulare gli spostamenti dei robot su Marte? E che i Mindstorms NXT sono impiegati in molti politecnici come dispositivi a basso costo per sviluppare processi di intelligenza artificiale? Che negli anni ‘50 una versione del piccolo Chimico conteneva quattro diverse tipologie di uranio?
Insomma, mentre ascoltavo l’autore raccontare dei primi mattoncini assemblabili in legno, nati per mano di un falegname nei boschi della Danimarca, e delle leggi della fisica sfidate dalle Hot Wheels; mentre davanti a un pubblico di bimbi rapiti e adulti curiosi – alla libreria Feltrinelli, a Milano – smontava come un orologiaio matto, pezzo a pezzo, le icone di infanzie presenti e passate, per svelarne trovate scientifiche e piccoli segreti nascosti, mi è sorta la domanda più spontanea: come fa ad essere un atto di portata scientifica “vestire la Barbie” (uno dei 31 giochi “preferiti di sempre”)?
La bambola-donna-perfetta, generata più di cinquant’anni fa coi piedi troppo piccoli, il seno troppo grande, la bocca a cuore, gli occhi sgranati senza espressione, una silhouette che istiga all’anoressia… a quale branca della scienza appoggia il suo equilibrio imperfetto?»
Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera (per leggere l’articolo completo, clicca QUI).
Il gioco che avrei voluto inventare io? I Lego. Si costruiva e ricostruiva qualcosa seguendo un progetto. Se ne afferravano i principi costruttivi. Si inventava con criterio. Quelle confezioni di mattoncini erano uno strumento potente: avevano spartiti fitti e rigorosi, ti insegnavano a eseguire un pezzo, per poi lasciarti improvvisare con quello che avevi a disposizione. Giocattoli jazz, per gli inventori di domani.
Davide Coero Borga