Negli ultimi anni Ta-Nehisi Coates, giornalista – per l’Atlantic – e scrittore, è passato dal perdere tre collaborazioni giornalistiche di fila a essere considerato uno dei più importanti intellettuali americani, anzi, secondo molti forse il più importante. Figura tra le cento persone più influenti del mondo del Times, i suoi articoli vengono accolti come un evento, i suoi libri sono materia di studio in più di 400 college in America. Ha ottenuto il Genius grant della MacArthur Foundation, una borsa di studio conferita, a chi, per l’appunto, è considerato un genio. Nello specifico perché ha saputo raccontare la complessità della discussione su razza e razzismo, riuscendo ad avere un impatto a livello nazionale.
Questo durante la prima presidenza nera degli Stati Uniti, che per qualche tempo ha fatto parlare della fine del razzismo e dell’inizio di una società post-razziale (si citavano le statistiche secondo cui per i millennials la razza non era un problema). Una previsione presto contraddetta – se non dalla realtà – dal movimento Black Lives Matter, nato per contrastare la violenza della polizia sui neri.
Qualche dato: nel 2017 il 25% delle persone uccise dalla polizia erano nere, pur essendo il 13% della popolazione. Tamir Rice, per esempio, è stato ucciso a 12 anni perché impugnava in un parco una pistola giocattolo. Nel 99% dei casi (non è un’iperbole) non solo nessuno è stato condannato per un crimine, ma nemmeno ritenuto responsabile.
Coates alla società postrazziale non ha mai creduto e, anzi, sull’esempio di James Baldwin, (“La storia è intrappolata dentro le persone e le persone sono intrappolate dentro la storia”) non ha fatto altro che cercare di dimostrare il contrario. Così, ha scritto i testi fondativi di Black Lives Matter (per Zinzi Clemmons) e ha colmato il vuoto lasciato da Baldwin (per Toni Morrison); in pratica, anche se ha dichiarato più volte di mal sopportarlo, ricopre il ruolo simbolico di autorità morale sulla questione razziale americana. Vale a dire che racconta, incessantemente, la storia di corpi, di ferite e di sangue.
Sangue, anzitutto, significa eredità familiare. È il figlio di William Paul Coates, una figura complessa raccontata nel memoir Una lotta meravigliosa, che verrà presto pubblicato in italiano da Codice (trad. di Chiara Stangalino).
“Una lotta meravigliosa”
Il sogno del panafricanismo non connota solo la famiglia formata da Ta-Nehisi Coates, la compagna e il figlio: si può tranquillamente affermare che Coates sia nato in questo sogno e di esso sia stato nutrito. Come racconta in quello che forse è il suo testo più personale, Una lotta meravigliosa, lo scrittore è nato in una famiglia in cui la cultura nera ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Il padre di Ta-Nehisi ha dedicato la sua vita alla pubblicazione di libri fuori dai circuiti tradizionali dell’editoria, ma considerati imprescindibili per la cultura afroamericana. Questo certosino lavoro di ricerca ha accompagnato l’infanzia e l’adolescenza del figlio, la cui educazione alla Consapevolezza è stata severa e costante. Un’educazione che ha tenuto Ta-Nehisi lontano dalla strada e dai pericoli che essa rappresentava per un giovane nero nella Baltimora degli anni Ottanta e Novanta. Il racconto, appassionato e preciso, di quell’epoca dà vita a un testo autobiografico che narra l’origine della dinastia dei Coates e della battaglia portata avanti dal padre, prima con le Pantere Nere poi grazie all’attività editoriale, e oggi dal figlio.
Una lotta meravigliosa sarà in tutte le librerie a partire da luglio.