Lella Mazzoli Giorgio Zanchini - Utopie

L’utopia è architettura – Un estratto da Utopie. Percorsi per immaginare il futuro

di Gillo Dorfles

 

«Non voglio cominciare parlando di arte e utopia, perché è un tema piuttosto crudo. E in fondo il rapporto tra arte e utopia è un rapporto paradossale: praticamente un rapporto di sempre e di mai. Voglio parlare piuttosto dell’utopia in generale, ma poiché di riflessioni e di notizie sulle utopie ne circolano parecchie, non rifarò il compitino dicendovi che nel 1516 Thomas More inventò questa parola e questo concetto. Un qualche accenno linguistico però è opportuno farlo, perché quando Thomas More, che era inglese, inventò questa dizione, non la pronunciò come la pronunciamo noi, ma disse iùtopia. E siccome iùtopia si può scrivere “utopia”, ma anche “eùtopia”, perché in inglese si pronunciano nello stesso modo, ecco che sin dal principio si verificò un grosso abbaglio, per cui l’utopìa è stata sempre considerata un’eùtopia. Chi ricorda un minimo di greco antico sa che u – il prefisso di utopia – significa “non”, non esistente, mentre eu – il prefisso di eutopia – vuol dire “bene”. È accaduto quindi che l’utopia, sin dall’inizio, non sia stata non tanto “un luogo che non esiste” quanto un luogo buono, una buona utopia. È per questo che tutti si sono affrettati a creare delle utopie, dei progetti utopistici, che fossero buoni. Oggi sappiamo purtroppo che così non è avvenuto, che tre quarti delle utopie sono delle distopie, e cioè delle utopie andate a male. Credo che questo sia il punto da cui partire.

Se vi guardate attorno, e vedete quello che succede nel mondo, vedrete che a fronte di poche utopie ben riuscite, tutte le altre hanno fatto naufragio o stanno naufragando. Quindi non ho bisogno di dire che l’utopia della Città del sole di Campanella, l’utopia dell’uomo perfetto, del paradiso in terra e quasi tutte le altre utopie non si sono mai realizzate. Per non parlare delle sette utopiche, dei mormoni, dei testimoni di Geova, tutte utopie che non hanno inciso sulla realtà e tendono a finire nel nulla. Per questo credo che parlare di utopia voglia dire in fondo parlare anche della superstizione, perché una persona che immagina e crede di creare qualche cosa di meraviglioso che ancora non c’è – il paradiso in terra, appunto – vive in un mondo immaginario. E pensare al ritorno a un’età dell’oro, al mondo ingenuo di Adamo, come anche di giungere a un mondo senza freni inibitori, di godimento collettivo, tipico dei sogni della modernità, dalle Folies Bergères fino al bunga bunga… ecco, anche queste sono grandi utopie, utopie del sogno e della seduzione. Ma purtroppo sappiamo a cosa portano. Credo che un’altra osservazione necessaria è che le utopie più formidabili sono le religioni: il buddhismo, l’islamismo, naturalmente il cristianesimo. Sono tutte grandi forme di utopia, alcune delle quali hanno avuto grande importanza, mentre altre credo che siano fallite. Quindi potremmo dire, sperando di non offendere nessuno, che alcune religioni sono più che altro grandi utopie finite male. Per arrivare poi alla letteratura dobbiamo ricordare Wells, Orwell, il Brave New World di Aldous Huxley, libri che hanno decantato l’utopia o che hanno fatto previsioni su una possibile società senza nemici, una società senza differenze di classe, una società dove tutti gli uomini si amano tra di loro; ma sono restate letteratura, perché nella realtà questi sogni sono tutti falliti. Cosa è restato di tutte queste meravigliose idee di un’umanità nuova? Una nuova cultura, forse? Mi pare quasi niente, se non appunto religioni e superstizioni. Del resto, cosa c’è di più utopico che credere nel malocchio, che avere in tasca un cornetto oppure non spargere il sale sulla tavola? Queste sono le vere utopie delle quali viviamo, e quindi ci rendiamo conto che in fondo l’utopia, che è quasi sempre negativa, come si è detto, produce più tragedie che felicità. Tra le poche utopie che sono riuscite credo si debbano ricordare invece i grandi progetti architettonici, insieme ad alcune forme di espressione artistica: qui abbiamo degli esempi, forse gli unici, di utopie positive. Nel campo dell’architettura, anche se non voglio fare qui osservazioni da manuale, bisogna considerare figure come Richard Buckminster-Fuller, per esempio, come Walter Gropius, Mies Van der Rohe e Oscar Niemeyer, il progettista di Brasilia. Quest’ultima è stata costruita in una landa deserta, dove abitava una popolazione disgraziata e malaticcia. Sono stato all’inaugurazione di Brasilia e solo il fatto di vedere i primi edifici di Niemeyer in mezzo al deserto faceva un’impressione enorme.

Utopia realizzata è quando l’uomo riesce a inventare una capitale dove non c’era, e c’è voluto del coraggio, visto che in Brasile già c’era Rio de Janeiro, che funzionava e aveva un’ubicazione magnifica mentre, come dicevo, Brasilia sorge su una landa deserta. Quando sono tornato, un paio di anni dopo, ho visto una città, una vera città, non solo pochi edifici sparsi nel deserto; ecco, per una volta, ho visto l’esempio di un’utopia riuscita. Come del resto Chandigarh in India, per merito di altri architetti, soprattutto di Le Corbusier. Quindi bisogna dire che l’architettura è riuscita alle volte a realizzare delle utopie positive, nonostante ci siano molte architetture utopiche che sono fallite. Buckminster-Fuller aveva ideato delle specie di enormi cupole che avrebbero dovuto coprire tutta una città sotto delle bolle trasparenti, naturalmente climatizzate, ma non è mai riuscito a farle. E non è che un caso delle molte altre architetture utopiche che non sono state realizzate. Eppure, quando si ammirano i grattacieli di New York, oppure opere colossali come il famoso museo Guggenheim di Lloyd Wright, si ha la prova che ogni tanto l’utopia serve; Bilbao, la cittadina basca dove è stato costruito il Guggenheim Museum, era una piccola città industriale, sporca, brutta e poco attraente. Oggi Bilbao, per merito di un’utopia, e cioè di questo enorme e se volete assurdo museo ideato da Frank Gehry, il grande architetto americano, si è trasformata completamente, ed è diventata la meta di un fiorente turismo internazionale. Quando è stato inaugurato il Guggenheim, a Bilbao c’era solo il museo, imponente e meraviglioso; ma tutt’intorno non c’era niente, salvo poche brutte case, più o meno maltenute. Oggi Bilbao non ha solo il museo, ma ha una magnifica metropolitana, e un porto rinnovato, quello di San Sebastian. Dunque la regione basca di Bilbao e di San Sebastian è diventata un’area delle più avvincenti e ricche della Spagna, tanto che vi è nato un grande istituto dove vengono invitati ogni anno venti o trenta artisti ad alloggiare per un mese e creare opere d’arte. Tutto questo perché un uomo come Gehry ha avuto il coraggio di inventare un museo strepitoso e naturalmente perché l’amministrazione ha avuto l’intuizione di invitarlo (un’amministrazione che abbia l’intelligenza e la fantasia di chiamare un grande architetto può riuscire a realizzare un’utopia). Un altro caso positivo è quello realizzato da Frank Lloyd Wright, altro grande architetto americano, il quale ha creato una cittadina utopica, Taliesin West, nel pieno deserto, dove non c’era niente, se si eccettua Scottsdale, centro a una cinquantina di chilometri da Phoenix. In quest’area, dove cresce soltanto una specie di giglio bianco della sabbia, ha creato ex novo un complesso di edifici moderni che è diventato una zona di residenza ideale, perché dove c’era soltanto il deserto ha portato l’acqua, le piante e il verde. Ci sono stato, e devo dire che è un esempio strepitoso di un’utopia architettonica diventata realtà.

Voglio ricordare che anche in Italia abbiamo un caso di utopia architettonica realizzata. Salerno è una città di media grandezza, che aveva un centro storico in pessime condizioni, un lungomare abbandonato a se stesso, e dove la circolazione era caotica e insopportabile. Il sindaco, De Luca, ha chiamato il grande urbanista Bohigas, di Barcellona, e gli ha chiesto di preparare un progetto per Salerno. La città nel giro di cinque-sei anni si è trasformata completamente: il centro storico è stato ripulito, la cattedrale è stata restaurata, le strade migliorate, il lungomare completamente rifatto. Non solo; il sindaco, attraverso i suggerimenti di Bohigas, ha chiamato alcuni architetti contemporanei come David Chipperfield, uno dei migliori architetti inglesi, che ha disegnato il grande tribunale, un meraviglioso edificio tutto rivestito di piastrelle colorate, che ha cambiato completamente quello che era uno dei rioni più malconci della città. Ha chiamato Renzo Piano, che ha realizzato un porto turistico, ha chiamato Zaha Hadid, che ha firmato un altro edificio. In altre parole, una cittadina di media grandezza, insignificante se confrontata a Napoli, che è dieci volte più grande, e ha dieci volte più monumenti e beni culturali, ormai è molto più vivibile e attraente (cosa ben triste, perché Napoli continua ad essere invasa dall’immondizia, mentre Salerno ha un’efficiente raccolta differenziata e strade pulite). Credo che su questo si debba riflettere: probabilmente le uniche utopie positive sono state realizzate nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. E anche nel sud d’Italia – sottolineo Sud Italia, non a Bolzano – possiamo trovare un’utopia realizzata: una città non solo pulita, ma anche ricca di monumenti di architettura contemporanea».

Tratto da Utopie. Percorsi per immaginare il futuro, a cura di Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini.

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