Abbiamo intervistato Philippe Kourilsky, biologo, genetista e immunologo, già direttore dell’Institut Pasteur, autore per noi di Il tempo dell’altruismo, appena uscito, e di Il manifesto dell’altruismo, scritto successivamente ma pubblicato per primo.
Sta per essere pubblicato il testo ispiratore del suo manifesto dell’altruismo: ci racconta qual è stata la molla (o l’episodio) che l’ha fatta concentrare sull’altruismo?
Io appartengo a una famiglia di medici, tutti fortemente influenzati dall’etica medica. Sono stato immerso nell’altruismo fin dall’infanzia. Come direttore dell’Istituto Pasteur, e presidente della rete internazionale degli Istituti Pasteur nel mondo, sono stato sempre a contatto con i problemi della povertà, soprattutto quelli legati alle vaccinazioni, che toccano direttamente le mie competenze nella sfera scientifica e immunologica.
Lei è autore di un neologismo: altruità. Quando ha pensato che la parola “altruismo” non fosse sufficiente?
Scrivendo il mio primo libro sull’altruismo avevo avuto dei dubbi sull’impiego di questo termine, che ha almeno una dozzina di definizioni, e sull’aggiungerne una tredicesima. All’epoca, ho ritenuto che fosse presuntuoso inventare un nuovo vocabolo. Ma a posteriori, dopo la pubblicazione di Il tempo dell’altruismo, mi sono reso conto che, malgrado i miei sforzi volti a definire e chiarire il tutto, non riuscivo a eliminare la confusione. Così, mi sono deciso. Credo di aver preso la decisione giusta, e vedo che il termine è largamente accettato in francese, così come in italiano, inglese, portoghese e probabilmente anche in altre lingue.
Tre consigli per imparare a pensare meglio l’altro?
A pensare meglio l’altro si comincia pensando meglio se stessi. É la raccomandazione che faceva Socrate, unita a un secondo consiglio: farlo utilizzando un metodo scientifico. Il terzo consiglio è: riflettere -per poterla accettare meglio- sulla nozione di ‘dovere verso gli altri’, non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche da quello razionale.
Il passaggio dal primo libro al secondo (Il manifesto dell’altruismo, n.d.r.) risponde secondo lei alla necessità di non fermarsi all’intuizione e arrivare a una definizione?
Il mio primo libro è prima di tutto un “discorso sul metodo”. Oggi realizzo di essermelo portato dentro per molto tempo. Quasi vent’anni fa ho pubblicato un libro intitolato “La scienza in condivisione”. Il mio punto di partenza era l’incredibile distanza che separava la mia intima conoscenza di determinate verità scientifiche e la spiegazione che ne davano i media. Devo dire che questo libro non ha fatto piacere a tutti i giornalisti, e che alcuni non si sono spesi nel fargli pubblicità. Ma la cosa importante è che questo cambiamento riflette in realtà un equivoco, o una scarsa comprensione (o scarsa utilizzazione del metodo scientifico). Questo permette in effetti di superare l’intuizione e di giungere a identificare dei segmenti di realtà che altrimenti ci sfuggirebbero.
Se lei potesse intervistare se stesso, che cosa si chiederebbe?
Mi chiederei: “Ammettiamo che lei abbia ragione (cosa di cui sono convinto!), come si può fare per passare dalla teoria alla pratica?”
Una prima risposta: è necessario un lavoro di gruppo, una collaborazione. É appunto per questo che sto creando un circolo che si chiamerà “L’altruità in azione”, allo scopo di proseguire nella riflessione e iniziare a metterla in pratica.
Una riflessione importante sulle possibilità che abbiamo di rendere più vivibile un mondo come il nostro