L’acqua non inganna, la vita invece sì – Tommaso Pincio recensisce I nuotatori

Il manifesto

«Bar­che con­tro­cor­rente, sospinte di con­ti­nuo nel pas­sato. La sco­rata imma­gine della con­di­zione umana che fa da chiusa al Grande Gatsby rie­cheg­gia in un ipno­tico romanzo di recente pub­bli­ca­zione e rara qua­lità let­te­ra­ria. «Il nuo­ta­tore guarda il suo futuro», scrive nell’incipit lo spa­gnolo Joa­quín Pérez Azaú­stre. Il mondo dei Nuo­ta­tori  è ovvia­mente un altro, come è altro il tono, distante anni luce dalla ran­co­rosa nostal­gia che Fitz­ge­rald attri­buì alla sua voce nar­rante. Da una parte il pas­sato, dall’altra un futuro con­tem­plato non dalle acque ster­mi­nate e potenti nelle quali può smar­rirsi una imbar­ca­zione, ma in quelle rac­colte, inno­cue e depu­rate di una piscina. E infatti, pro­se­guendo nella let­tura, si sco­pre un autore del tutto diverso da Fitz­ge­rald, uno scrit­tore che misura la prosa con la cadenza osses­siva di un metro­nomo, come se la sua prin­ci­pale pre­oc­cu­pa­zione non fosse quella di rac­con­tare una sto­ria, bensì un’impresa impos­si­bile, quella di accer­chiare il tempo. Nelle prime due pagine que­sto nostro nuo­ta­tore, ancora privo di un nome, è descritto nei momenti che pre­ce­dono l’ingresso in acqua, il disten­dersi delle prime brac­ciate. È raf­fi­gu­rato nell’uscire di casa, una casa pic­cola, anzi un cubi­colo, per stare alla defi­ni­zione che ne viene data e nella quale sem­bra affio­rare l’abbaino somi­gliante a un arma­dio che Raskol’nikov lascia all’inizio di Delitto e castigo, com­plice anche la cita­zione da Dostoe­v­skij posta in esergo al romanzo. Per­corso il tra­gitto che lo separa dalla piscina, il nuo­ta­tore si dirige verso gli spo­glia­toi senza che un solo suo gesto venga con­si­de­rato abba­stanza mar­gi­nale da non essere richia­mato alla nostra attenzione.

 

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Del resto, chi ha pra­ti­cato que­sto sport sa che il nuo­tare in piscina è anti­ci­pato da una pre­cisa rou­tine. Ogni cosa ha un pro­prio posto, e anche un senso pre­ciso mal­grado l’irrilevanza appa­rente. Nello zaino, pre­pa­rato per tempo, le cia­batte ven­gono sem­pre col­lo­cate die­tro l’asciugamano ben ripie­gato. La pre­senza di occhia­lini, cuf­fia e costume è sem­pre veri­fi­cata con cura, se non con una certa appren­sione. Tutto viene svolto con il reli­gioso silen­zioso e la devota con­cen­tra­zione di un rito pre­pa­ra­to­rio, e ciò per­ché, entrando in acqua, il nuo­ta­tore accede a un’altra dimen­sione, fatta di iso­la­mento e con­fronto col pro­prio corpo. Il nuo­ta­tore è lasciato a se stesso non tanto per­ché si nuota in soli­tu­dine, ma per­ché, una volta in acqua, il mondo in cui nor­mal­mente si vive cessa di esi­stere. Lo sop­pianta un ambiente astratto, un invaso squa­drato nel quale fare avanti e indie­tro a forza di brac­ciate e colpi di gambe. Il nuo­ta­tore guarda il suo futuro, ma al ter­mine di ogni vasca è obbli­gato a rifare la strada da cui è venuto, sospinto peren­ne­mente nel pas­sato, pro­prio come nell’immagine che chiude Il grande Gatsby. Le ana­lo­gie non ter­mi­nano qui. Nel suo scritto testa­men­ta­rio, Il crollo, Fitz­ge­rald para­gona lo scri­vere bene al nuo­tare sott’acqua, trat­te­nendo il fiato. Azaú­stre non si con­cede asso­cia­zioni altret­tanto espli­cite, ma è evi­dente che l’invaso della piscina, in quanto luogo di iso­la­mento e di incon­tro con se stessi, fa il paio con il ret­tan­golo bianco della pagina. Entrambi gli spazi fun­zio­nano alla maniera di un ampli­fi­ca­tore inte­riore, esal­tano spe­ranze e paure, ci con­sen­tano di sco­prire fin dove pos­siamo arri­vare, misu­rano la nostra forza ma soprat­tutto le nostre debo­lezze, soli­ta­mente più nume­rose e pro­fonde delle nostra forza. «Non si può ingan­nare l’acqua» dice Azaú­stre, un prin­ci­pio ana­logo dovrebbe valere nello scri­vere: non si può ingan­nare se stessi. O meglio: non è pos­si­bile farlo senza pagare un prezzo. Quando sco­priamo che il nuo­ta­tore ha anche un nome, Jonás, ci ren­diamo conto di quanto sia sot­tile e con­fuso il mar­gine che divide il futuro dal passato».

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azaustrePer Jonás, fotografo in crisi creativa e personale, nuotare non è solo una passione; è soprattutto un modo per liberare la mente, attutire i rumori della Madrid caotica in cui vive e concentrarsi sui movimenti del proprio corpo. È una forma di meditazione e di isolamento volontario dal mondo. La quasi totale solitudine in cui trascorre le sue giornate diventerà però una condizione obbligata: le persone, a cominciare da sua madre, iniziano misteriosamente a scomparire, senza lasciare traccia. Attorno a lui si crea lentamente il vuoto: sempre meno nuotatori frequentano la sua piscina, sempre meno persone popolano la sua città. Madrid da caotica diventa sempre più quieta, e anche Jonás comincia a temere di svanire. Ma dove sono andati tutti?

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