«In questo momento storico, segnato da una gravissima crisi economica, l’ascolto della sofferenza delle persone è indispensabile per favorire i processi di «resilienza» individuale e sociale, ridurre la vulnerabilità della popolazione potenzialmente a rischio di povertà, marginalità o esclusione sociale. Incontrare la sofferenza delle persone, sempre più disperate e isolate, significa restituire la speranza e l’appartenenza. Significa offrire ai soggetti più deboli non solo una tutela, un servizio, una risorsa, ma sopratutto «contesti di riconoscimento». All’interno dei contesti in cui viviamo, siamo chiamati a diventare «comunità resiliente», ovvero a pensarci come una comunità che sviluppa azioni intenzionali volte a rafforzare la capacità personale e collettiva dei suoi membri e delle sue istituzioni per influenzare il corso di un cambiamento sociale ed economico.
Boris Cyruknik, neurologo, psichiatra, psicoanalista, professore di etologia umana all’Università di Toulon-Var, ha dedicato tutta la sua vita allo studio e alla divulgazione dei fattori che favoriscono o inibiscono la “resilienza”. La resilienza rappresenta molto più che una capacità di fronteggiamento, di sopravvivenza o di adattamento ad una situazione problematica. Secondo Cyrulnik, la resilienza è l’insieme delle condizioni di ripresa di un nuovo sviluppo dopo una agonia psichica traumatica, un processo psichico, culturale e sociale che riesce a liberare nuove ed insospettate possibilità di esistenza. Nella definizione del trauma Cyrulnik riprende un concetto sviluppato da Anna Freud (“Commenti sul trauma psichico”), ipotizzando l’importanza di due colpi nella genesi del trauma: il primo, in quanto evento reale, suscita il dolore della ferita psichica e appartiene all’ambito delle dinamiche interne; il secondo, come rappresentazione dell’evento, si pone nell’ambito delle dinamiche comunicative-relazionali.
“Quando tutti sono poveri, si è meno consapevoli della povertà, si pensa che la vita sia dura”, scrive Boris Cyrulnik (La vergogna, Codice Edizioni, 2011). “Ma quando si può mettere su un piatto della bilancia una situazione fragile e dolorosa e su un altro la solida tranquillità del vicino, si prova un sentimento di ingiustizia e di umiliazione. L’ingiustizia è meno penosa perché permette l’indignazione, la protesta verbale e la manifestazione fisica, mentre l’umiliazione spinge a nascondersi, a ritirarsi, a vergognarsi, a non combattere…”».
Rosalba Miceli, La Stampa (per leggere l’articolo completo, clicca QUI).
Se volete sapere perché non ho detto nulla, vi basterà cercare ciò che mi ha obbligato a tacere. Le circostanze dell’evento e le reazioni di chi mi è accanto sono state ugualmente responsabili del mio silenzio. Se vi dico cosa mi è successo, non mi crederete, riderete, prenderete le parti dell’aggressore, mi farete domande oscene o, peggio ancora, avrete pietà di me. Qualunque sia la vostra reazione, mi basterà dirlo per sentirmi male sotto il vostro sguardo.