«C’è un mantra che capita sempre più spesso di leggere, vagabondando sulla rete tra blog personali, profili social di sconosciuti, bachece di conoscenti e amici, e perfino di trovare, a volte, sui magneti che decorano i frigoriferi in cucina: “Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”. Che vi piaccia o no, che lo troviate stucchevolmente buonista o inspiegabilmente profondo, certo è che questo invito all’apparenza naïf aiuta a illuminare un problema filosofico che ha impegnato le migliori menti di ogni tempo, anche secoli prima -e ancora secoli dopo- il V libro delle Discussioni tusculane di Cicerone. Il dilemma è questo: esiste un ritorno personale, in termini di piacere o di benessere interiore, nel compiere buone azioni? O ancora: coltivare le proprie doti migliori con atteggiamento disinteressato, paga? Insomma, può farci felici la virtù? Secondo le più recenti ricerche nell’ambito delle neuroscienze e della psicologia la risposta è sì. Lo dimostrerebbero gli effetti positivi delle attività di volontariato sull’umore, sul benessere e, a quanto sembra, perfino sulla salute degli individui oggetto delle ricerche, cioè i volontari stessi (Jonathan Haidt, Felicità: un’ipotesi, Codice Edizioni)».
Armando Massarenti, Domenica – Il Sole 24 Ore (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).
Dieci grandi idee e una metafora ricorrente per accompagnare il lettore nella ricerca del bene più sospirato e sfuggente: la felicità. Jonathan Haidt ricerca le basi neurologiche, psicologiche e morali della soddisfazione esistenziale, interpretando l’antica saggezza alla luce delle più recenti scoperte in campo genetico e psichiatrico. Partendo da un presupposto: la nostra mente è paragonabile alla coppia formata da un elefante ostinato e dal suo guidatore, e la nostra felicità dipenderà dalla capacità di quest’ultimo di orientare la direzione dell’elefante.
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