Perché “La duchessa” è un grande romanzo – Il consiglio di Vittorio Bo

duchessa3Tre donne uniche e particolarissime, la Parigi – a tratti quasi decadente – degli Anni Settanta e il ricordo di un passato sfarzoso che sembra ormai svanito e lontanissimo. E’ in questa cornice che si muove “La duchessa”, la storia nella storia a metà tra romanzo e reportage, raccontata da Caroline Blackwood. Quella che doveva essere un’intervista si trasforma in un grande affresco di vita, non solo di Wallis Simpson, mitico personaggio ormai segreto e segregato, ma anche della terribile avvocatessa Suzanne Maitre Blum, che la venera e, al tempo stesso, la nasconde al mondo nella casa-museo nel Bois de Boulogne, dove la moglie di Edoardo VIII spirò nel 1986.

Pagina dopo pagina si scopre una nuova dimensione del senso del potere. L’anziana “regina del foro”, che in tribunale aveva difeso star di Hollywood e major cinematografiche, emerge con forza tra le righe, esce vincitrice nello scontro psicologico con l’autrice ma, alla fine, quel che le rimane non è nient’altro che questo vuoto senso di possesso. È in un mondo dominato dalla presenza femminile, dove gli uomini quasi scompaiono accanto a donne così tenaci e travolgenti, che prende forma questa intrigante triangolazione. La grande duchessa di Windsor, protagonista senza mai apparire come il Godot di Beckett, non è che il pretesto. E la Blackwood mostra tutta la sua capacità di entrare dentro i personaggi, ma soprattutto dentro se stessa: nel racconto della sconfinata forza di volontà di Wallis, per molti quasi irraggiungibile, si percepisce l’ammirazione di chi ha avuto una vita in apparenza facile ma, sempre, comunque tormentata.

Il filo di una sottile insoddisfazione irrisolta lega le tre donne, divorate – ognuna a suo modo – da un amore assoluto e, allo stesso tempo, non assolutamente compiuto. Lo si ritrova nella descrizione dei desideri, se non deviazioni sessuali, della Duchessa, mai davvero appagati. Lo si ritrova nell’ostilità della Blum, che sembra non riuscire a godere delle innumerevoli vittorie che ha avuto nella sua carriera professionale. In lei, la vita si divide in maniera netta tra la parte più ufficiale – quella pubblica e di successo esterno ed esteriore – e quella che sembra essere la sua vera missione, difendere in maniera assoluta e assolutistica l’immagina che ha creato di Wallis Simpson. La circoscrive e la imprigiona dentro una regola che non può essere violata. Il risultato è un dramma dell’insoddisfazione, del sentimento che non riesce a esprimersi e trovare la dimensione dell’equilibrio e dello scambio reciproco. È sempre un amore unidirezionale: quello dell’avvocatessa verso la “sua” Duchessa, ma anche quello della Blackwood nei confronti della Blum. La giornalista la guarda a tratti con un disprezzo che cela, invece, una grande stima per la caparbietà di una donna implacabile, sfuggita a un tragico destino segnato per una giovane ebrea francese cresciuta negli anni del nazismo e arrivata nelle più alte sfere del potere americano.

“La duchessa” è un libro che è più di un romanzo, perché racconta una verità che ci avvicina a questi tre personaggi, estremamente moderni, anche se vissuti più di trent’anni fa. Caroline Blackwood dimostra di essere una grande giornalista per la sua capacità di bilanciare parola e sentimento, comprensione e tensione a continuare a scavare nella storia. Non si ferma, va avanti nonostante tutto, affronta ogni sbarramento, anche quelli che sembrano inconciliabili e impermeabili. E li supera in maniera brillantissima.

 

Vittorio Bo

 

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