Nei manuali di relazioni politiche e internazionali su cui si sono formate generazioni di decisori politici, accademici e strateghi, l’uomo è generalmente visto come un essere machiavellico, mosso dalla logica e da un calcolo razionale più o meno cinico. In realtà la ragione gioca spesso un ruolo insignificante rispetto agli istinti e alle emozioni, come ha imparato Mari Fitzduff in trent’anni di esperienza nel campo della risoluzione di conflitti e tensioni sociali. Serve dunque un radicale cambio di approccio in merito al modo in cui interpretiamo e affrontiamo concetti come guerra, politica e leadership. Per farlo, sostiene Fitzduff, oggi bisogna volgere lo sguardo a discipline come la genetica comportamentale, le neuroscienze sociali e la psicologia politica. Perché tenere conto dei fattori biologici che contribuiscono a scatenare i conflitti sociali – su qualsiasi scala, da quella locale a quella globale – può permetterci di pianificare strategie di peacebuilding più efficaci, in un mondo sempre più diviso.